Per la rubrica 30 Teams in 30 Days su NBA.com, Shaun Powell ha valutato lo stato di salute dei gialloviola.
Los Angeles Lakers: It’s win-now mode
Record 2018-19: 37-45, non qualificati ai playoff.
Innesti chiave: Anthony Davis (trade), DeMarcus Cousins (free agency), Avery Bradley (free agency), Danny Green (free agency), Jared Dudley (free agency), Dwight Howard (free agency), Frank Vogel (coach).
Principali partenze: Lonzo Ball, Josh Hart, Brandon Ingram (trade), Luke Walton (separazione consensuale), Magic Johnson (dimissioni).

The Dark Side of the Moon
Infortuni e drammi hanno cospirato contro il team lacustre e distrutto ogni possibilità che la prima stagione di LeBron James a Los Angeles diventasse un successo sotto ogni punto di vista. È stata una debacle a tutto tondo per una franchigia con altre speranze, soprattutto con un talento superiore come James, che ha subito l’infortunio più significativa della sua carriera.
Un problema all’inguine lo ha limitato a sole 55 partite e da quando è accaduto, il giorno di Natale, i Lakers hanno visto sbiadire lentamente i propri sogni di gloria. Al suo rientro, gli angeleni si stavano riprendendo dal fallito tentativo di acquisire Anthony Davis dai New Orleans Pelicans alla trade deadline. La chimica di squadra ne ha risentito notevolmente rendendo quasi impossibile il rush finale per i playoff.
Ci sono stati malumori relativi all’operato di Luke Walton, rivelati pubblicamente dall’allora President of Basketball Operations Magic Johnson. Un infortunio alla caviglia ha costretto Lonzo Ball a disputare solo 47 partite mentre Brandon Ingram ha sviluppato un coagulo di sangue che ha chiuso la sua stagione dopo 52 gare disputate.
Gli innesti voluti da Magic ed il GM Rob Pelinka nella scorsa offseason hanno fornito risultati contrastanti, con Lance Stephenson e Michael Beasley che si sono dimostrati particolarmente inutili. Johnson poi si dimise all’improvviso, alla vigilia dell’ultima gara stagionale. Il team non aveva tiratori, LeBron aveva perso gli stimoli per giocare in difesa e per la sesta stagione consecutiva i Lakers hanno mancato i playoff, una cosa inammissibile per una franchigia con 16 titoli ed un’orgogliosa storia di fatta di eccellenza, riconosciuta a livello mondiale e capace in passato di attirare le superstar.
Le mosse estive
C’era un solo obiettivo per il front office gialloviola: portare una seconda stella al fianco di LeBron. Missione compiuta con successo grazie all’arrivo di The Brow.
Mettendo da parte, per il momento, il prezzo pagato dai Lakers per Davis, l’ex Pelicans porta credibilità immediata, ha le abilità uniche per riaccendere l’atmosfera vincente allo Staples Center e sarà probabilmente il compagno di squadra più talentuoso che LBJ abbia mai avuto, il che è importante alla vigilia della sua diciottesima stagione NBA.
AD è perfetto per James in molti modi. Per una stella e un talento della sua grandezza, l’ego di Davis pare non essere cosi ingombrante. Ciò significa che non è agitato di giocare all’ombra dell’ex Cavs ed Heat. Davis non ha mostrato un grande desiderio di attenzioni e sembra abbastanza disposto a essere un coprotagonista in questo caso.
Inoltre, lo stile di gioco di Davis è molto accomodante. È altamente efficiente in attacco e non ha bisogno di 25 tiri per segnare 25 punti. La sua difesa d’élite gli consentirà di aiutare i compagni di squadra, LeBron incluso. AD è il tipo di stella, rara, che può assumere il comando e essere la prima scelta offensiva o seguire il flusso e aspettare la partita, in entrambi i casi riesce a sentirsi a proprio agio.
Infine il vantaggio più grande: Davis ha solo 26 anni. Questo è più il suo team che quello di LeBron, anche solo perché è presumibile che il nativo dell’Ohio si ritiri alla fine del suo contratto tra due anni. AD non ha firmato l’estensione del contratto dopo essere stato scambiato, ma dovrebbe essere solo una questione di tempo. Non è credibile che i Lakers rinunciassero a quel pacchetto senza aver ricevuto le dovute rassicurazioni da parte del giocatore in merito al rinnovo del contratto.
L’unico dubbio da fugare riguarda la capacità di Davis di aumentare il proprio rendimento nella post season. In carriera ha avuto solo due possibilità per farlo, ed in quelle 13 partite ha messo a referto in media 30.5 punti, 12.7 rimbalzi, 2.5 stoppate e 1.3 rubate. Ma non ha bisogno di trascinare i Lakers o subire la stessa quantità di pressione, almeno non in questa stagione. A meno che, ovviamente, LeBron non sia soggetto a infortuni.
I Lakers avevano poco leverage durante le trattative per Davis perché dovevano vincere ora, prima che scadesse il contratto o avvenisse il declino di LeBron, ed i Pelicans lo sapevano. Ecco perché L.A. ha dovuto sborsare il proprio futuro. Ball, Ingram e Hart – tre quarti dello young core che includeva Kyle Kuzma, non ci sono più, oltre ad una serie di future scelte al primo turno che, nella peggiore delle ipotesi, paralizzeranno il club nel caso dovessero arrivare tempi difficili. Ma quello era il prezzo da pagare per ottenere un game-changer del livello di Davis.

Con Davis nel roster, Pelinka ha adottato un approccio differente nella costruzione del supporting cast rispetto all’anno precedente. Sono stati acquisiti tiratori (Danny Green, Quinn Cook, Jared Dudley e Troy Daniels) e seppure nessuno sia tra l’élite dell’NBA, erano tra i migliori disponibili una volta fallito l’assalto a Kawhi Leonard.
Pelinka ha firmato anche DeMarcus Cousins, sperando che a quasi due anni dall’intervento al tendine di Achille, sarebbe potuto tornare vicino ai livelli pre-infortuni, ma DMC non è nemmeno arrivato al training camp. Boogie ha subito un infortunio ai legamenti durante un workout e dopo l’intervento chirurgico probabilmente salterà l’intera stagione.
Un duro colpo, sia per Cousins che per i Lakers. Sotto canestro saranno disponibili il confermato JaVale McGee e Dwight Howard, ritornato a sette anni dalla clamorosa separazione. Le incognite sull’ex Superman sono moltissime – a partire dall’aspetto mentale per arrivare a quello fisico – e per questo motivo, il suo contratto non è garantito.
Nel frattempo, i giorni di Luke Walton erano contati ed il figlio di Bill non era particolarmente sorpreso quando è stato licenziato, del resto poi è stato immdiatamente assuto dai Sacramento Kings.
I Lakers lo hanno sostituito con Frank Vogel che, a differenza del predecessore, ha avuto delle ottime stagioni con gli Indiana Pacers e dispone del temperamento necessario per affrontare le pressioni che arriveranno.
Una sorpresa maggiore rispetto alla nomina di Vogel è stata la scelta del suo assistente principale: Jason Kidd. Ciò ha immediatamente dato agli osservatori della NBA la possibilità di insinuare che l’allenatore fosse Kidd, specialmente se la stagione non dovesse andare nella giusta direzione (coach-in-waiting). Anche se questo potrebbe non essere vero, in considerazione di quanto siano stati deludenti le esperiene precedenti da da coach a Brooklyn e Milwaukee. Tuttavia, Kidd non ha mai nascosto il desiderio di ambire ad un’altra chance da head coach.
Assumendo un allenatore collaudato e prendendo Davis, i Lakers hanno chiarito il loro obiettivo: vincere il titolo. Il roster è composto principalmente da giocatori win-now come Green, McGee, Avery Bradley e Rajon Rondo.
Davis lo ha reso possibile, ma adesso arriva la parte difficile: trasformare i Lakers in una squadra attrezzata per giocare a giugno.
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