Ad una settimana dal tragico incidente sulle colline di Calabasas in cui hanno perso la vita Kobe Bryant, sua figlia Gianna ed altre sette persone, la Lakers Nation prova a rialzarsi dal colpo subito.

Dopo le parole ed i comunicati di LeBron James, della moglie Vanessa Bryant, dell’owner Jeanie Buss e del GM – nonché amico di Kobe e padrino di Gigi – Rob Pelinka, la più brutta settimana della storia dei Los Angeles Lakers si è chiusa con il commovente ricordo del Black Mamba e delle altre vittime.

La crew di LakeShow Italia, dopo aver affrontato la dolorosa scomparsa di Bryant nell’ultima puntata del podcast, ha deciso di dedicare un ulteriore saluto al povero Kobe.

Ciao Kobe

by Luca Novo

Voglio ricordare Kobe Bryant come un compagno di viaggio e un esempio.

Nella stagione 1996-97 avevo 20 anni e il diciottenne Kobe esordiva da rookie con la maglia dei Lakers, il primo sportivo per cui ho tifato e seguito con passione ed affetto ad essere nato dopo di me. Questo mi ha permesso di vedere Kobe non quale eroe perfetto, come si fa da piccoli con i propri idoli, ma come un campione con pregi e difetti come ognuno di noi

È stato sportivamente un onore seguire una parabola meravigliosa e emozionante, fatta di alti e bassi, di maturazione tecnica e umana, e soprattutto fatta di 5 titoli NBA.

La dedizione e la voglia di migliorarsi di Kobe sono l’aspetto che più ammiro. Trovare le motivazioni per dare di più sul lavoro, per curare il proprio corpo e per affrontare le proprie paure non è facile e per me in quei momenti Kobe è stato esempio e fonte di ispirazione.

Tra pochi mesi, se tutto andrà bene, diventerò padre di una bimba. Per questo motivo mi ha emozionato in questi mesi vedere spesso Kobe e Gigi a bordo campo e non ho potuto fare a meno di relazionare il loro rapporto a quello che mi aspetta. E ora fa davvero male sapere che ci hanno lasciati.

Ciao Kobe. Ciao Gianna.

#GirlDad

by Giovanni Rossi aka odino

Essendo nato neppure cento giorni dopo Kobe – …e tifando Lakers da sempre – ho avuto la fortuna di seguire la carriera del Black Mamba per intero: dall’ascesa verso il Sole (MJ) alla caduta delle stagioni seguenti, con problemi ed incomprensioni dentro e fuori dal campo. Dal rabbioso cammino di redenzione, culminato nello storico titolo del 2010, ai difficili anni degli infortuni. Vent’anni caratterizzati da una dicotomìa di sentimenti: amato e rispettato, temuto e mal rispettato. Divisivo, è l’aggettivo che sintetizza alla perfezione, a mio avviso, la carriera di Bryant.

Tuttavia, il ritiro – come se oltre alle scarpe Bean avesse appeso al chiodo anche il costume da villain – ci ha fatto scoprire un Kobe diverso, nuovo, inedito. Oppure ben celato in precedenza, o quasi (…si veda la sincera e fanciullesca esultanza post gara 7 nel 2010). Il velenoso serpente, dopo aver infestato per anni la savana NBA, ha cambiato pelle mostrandoci quanto in realtà fosse innocuo.

Dal manifesto d’amore al suo Dear basketball, alla serie di pubblicazioni per ragazzi passando per Oscar e award vari, Bryant ci ha svelato che alla base della sua Mentality oltre all’impegno, al talento ed alla dedizione, c’era amore ed umanità.

Ma se l’approccio a tutte le attività post ritiro era comunque caratterizzato dalla per lui vitale e naturale voglia di competere e primeggiare, i momenti che hanno reso possibile il definitivo rappacificamento con me e tanti altri fan sono stati quelli della sua vita privata di tutti i giorni.

I selfie con la sua Vanessa, i giochi con le piccole Bianka e Capri, l’entusiasmo nel seguire le partite di Natalia e Gianna. La gioia nel tornare a casa dopo cinque settimane passate a commentare i mondiali cinesi, perché finalmente può riabbracciare le sue Five Babies. Come uno qualunque di noi. Come me.

Faccio mie le parole di Wilhelm Busch:

Non è difficile diventare padre. Essere padre: questo è difficile.

E nelle difficoltà, Kobe si è sempre esaltato. Divisivo in campo come pochi, polarizzante fuori come ancora meno.

A Man, a Husband, a Dad. More than an Athlete. We’ll miss you.

Un vecchio compagno di viaggio

by Antonio Corsa

Uno dei commenti più toccanti che ho sentito dopo la morte di Kobe (e GiGi, possa riposare in pace, piccolo Angelo) è stato un post su Instagram di Lamar Odom.

Odom è il mio secondo giocatore preferito dei Lakers kobiani, l’ho sempre amato anche se non soprattutto per la sua fragilità, per il suo convivere con i demoni, per la sua vita privata che ha conosciuto più dolore di quanto si debba sopportare. Lo ha amato anche Kobe, che per lui era come un fratello maggiore.

Odom si è disperato e ha riversato il suo dolore su Instagram, come stanno facendo tutti. Ma, e questo mi ha strappato una lacrima e mi ha motivato tantissimo, ha anche scritto che, in suo onore, il mattino seguente si sarebbe allenato alle 4:00, in palestra, spaccandosi il fondoschiena e rimettendosi in forma per partecipare al Big-3 organizzato da Ice Cube.

Ecco, al di là di quello che abbiamo perso come cestista, e che nessuno potrà mai cancellare dai nostri ricordi, è proprio questa eredità spirituale che renderà Kobe leggendario e continuerà ad ispirare la mia generazione e, si spera, anche le successive.

“Lavorare, lavorare, lavorare. Farsi il mazzo. E fissare un obiettivo alto, in modo da non accontentarsi mai”.

Ciao, Kobe.

Kobe Tzu: l’arte della guerra

by Nello Fiengo

Chi prende posizione sul campo per primo e attende la venuta del nemico, sarà fresco per lo scontro. Chi giunge secondo sul campo e deve affrettarsi alla battaglia, arriverà esausto.

Non penso di aver visto qualcuno arrivare al campo prima di te Kobe, perché dentro di te la battaglia non iniziava una volta ogni sera, per te la battaglia iniziava ad ogni singolo cambio di possesso, ogni singolo possesso eri pronto per lo scontro. Non hai sempre vinto, ma ogni avversario che hai incrociato sapeva di essere il secondo arrivato, sapeva di non partire alla pari per lo scontro, il tuo avversario è già esausto.

L’abile comandante impone la sua volta sul nemico e non permetterà che avvenga il contrario.

In ogni singolo possesso la vittoria e la sconfitta restavano un problema relativo nella tua testa Kobe, perché il prossimo possesso stava già per arrivare, e tu saresti stato li ancora, ancora per primo, pronto a piegare la mente e il fisico del tuo nemico, dai imporre il tuo ritmo, la tua forza, la tua volontà.

Ho letto, ahimè, la prima volta “L’arte della guerra” nel 2010, mentre attendevo le finals contro Boston. Kobe, tu lo avevi sicuramente fatto prima.

No Fear

by Giuseppe Critelli

La vigilia di gara-7 è sempre complicata. Sai che una singola giocata, un errore, un colpo di fortuna possono decidere le sorti di un’intera stagione. E questo inevitabilmente genera ansia, tensione, paura.

La vigilia di una gara-7 delle Finals contro i tuoi rivali di sempre, quei Boston Celtics che ti avevano battuto e anche un po’ sbeffeggiato due anni prima, è semplicemente un potente vortice di emozioni.

Io, però, quella volta ero tranquillo. Ero tranquillo perché noi avevamo Kobe. Non c’erano in realtà molti motivi razionali per avere questa fiducia totale nei suoi confronti. Bastava tornare indietro a quella finale persa contro i Celtics giusto due anni prima o ragionare sui tanti problemi fisici che iniziavano a tormentarlo per avere più di qualche dubbio sul suo rendimento. In quei momenti, però, non contavano le sconfitte dolorose, i guai fisici e i (numerosi) tiri sbagliati: contava solo avere Kobe.

Del resto Bryant ha sempre flirtato, nel bene e nel male, con la dimensione irrazionale che aleggia sulle nostre vite. Lo ha fatto mettendo tiri impossibili nei momenti più complessi, tornando in campo dopo un infortunio devastante e chiudendo la sua carriera con una prestazione iconica.

In quella gara-7 Kobe finì per tirare con un pessimo 6/24 dal campo. I Lakers, però, vinsero lo stesso e per una volta Bryant non fu autore di una prova da tramandare ai posteri.

Quel giorno stesso, però, Kobe dimostrò il vero motivo per cui tutti noi credevamo ciecamente in lui: Bryant era disposto a fare di tutto, anche a sacrificare il proprio corpo, per vincere una partita. E la sera di gara -7, quando la stanchezza e la tensione colpirono probabilmente anche lui, riuscì comunque a ritagliarsi un ruolo fondamentale catturando 15 rimbalzi di pura voglia e difendendo alla grandissima su Ray Allen (3/14 dal campo per He Got Game).

In quella gara-7 Kobe dimostrò, ancora una volta, che la mia, la nostra fiducia nei suoi confronti era un semplice atto di fede. Ma un atto di fede più razionale di tanti altri.

Caro Kobe…

by Francesco Anelli

Caro Kobe,
Dal momento in cui hai cominciato ad indossare la nostra canotta
E a realizzare canestri vincenti
Sapevo che una cosa era certa:
Mi ero innamorato di te
Un amore così profondo che mi ha portato a svegliarmi per anni di notte
Dalle 2 alle 4
Fino ad accompagnarmi al lavoro
Da ragazzo di 20 anni profondamente innamorato di te
Non ho mai visto la fine di questo tunnel
Continuavo a svegliarmi la mattina e vedevo solo te sul parquet
E così ho continuato a svegliarmi
Per vederti correre su e giù in qualunque campo
Tu mi hai chiesto il mio sonno
Io ti ho dato il mio cuore
Perché grazie a te ho avuto tanto altro
Ho conosciuto l’amore per i colori gialloviola
Ho conosciuto persone meravigliose con le quali ho il piacere di parlare sempre di Lakers
Ma perché TU mi stavi chiamando
in una fredda notte di Gennaio e io accesi la TV e restai sveglio fino alle 4 per guardarti giocare la prima volta
Perché questo è quello che fai quando qualcuno ti fa sentire così vivo come tu hai fatto sentire me
Tu hai fatto realizzare ad un ragazzo di 24 anni il suo sogno di veder vincere i Lakers
E ti amerò per sempre per questo
Ma non posso amarti ossessivamente ancora per molto tempo
Questa lettera è l’ultima che ti scrivo
Il mio cuore può reggere il colpo
La mia mente può sopportare lo sforzo
Sono pronto a lasciarti andare
Che sia bello o brutto
Abbiamo dato all’altro tutto ciò che avevamo
Ed entrambi sappiamo che non importa cosa farò dopo
Sarò sempre quel ragazzo che si sveglia la notte
Con 5 minuti ancora da dormire…
e gli arbitri che stanno per alzare la palla a 2
5… 4… 3… 2… 1…

Ciao Kobe… Mancherai!

Kobe: le parole non bastano

by Andrea Vecchiato

Un pensiero non potrà mai bastare per rendere giustizia alla Grandezza di Kobe ma ci provo. Purtroppo ho perso i suoi primi anni per motivi anagrafici (sono nato poco più di un mese prima che venisse scelto al Draft del 1996) quindi il ricordo che ho di lui in campo è stato relativamente breve ma è bastato per farmi innamorare.

Non ho un qualcosa di lui che stagli su tutto perché Kobe per me è stato Tutto. Kobe è stato il motivo per cui ho iniziato a seguire il basket pur non sapendo una regola. Kobe è stato il motivo per cui ho costretto mio padre a montare un canestro fuori da casa mia pur non sapendo tirare perché avevo visto fare 3000 volte quel fade-away. Kobe è stato il motivo per cui ho iniziato a fare tardi la notte per vedere le partite per poi addormentarmi durante la giornata sui banchi di scuola.

Ho visto si i due titoli senza Shaq ma anche i tanti anni di frustrazione, squadre disfunzionali ed un corpo che iniziava a portare il conto delle fatiche accumulate.

Come ho detto Kobe non riesce a stare in un breve ricordo perché è troppo grande per essere descritto. Forse una delle migliori frasi sentite su Kobe che potrebbero descriverlo è stata di un noto avvocato che stava commentando l’ennesimo canestro senza senso durante le Finals 2010.

D’altra parte, come diceva Hopper, se avessi avuto le parole non avrei dipinto.

Questo era Kobe, qualcosa più di un uomo. Grazie Kobe.

Legacy

by Filippo Pugnalini

Voi mi amate, mi amate, perché sono Kobe! Perché sono cinque volte campione NBA. Perché sono uno dei più forti di sempre! Ma non dovreste… Dovreste odiarmi. Odiatemi, perché vi ho fatto fare le 4 di mattina, perché vi ho spinto quando nessun altro avrebbe potuto. Odiatemi. Perché ho chiesto la grandezza. E la grandezza richiede tutto! Amatemi quando diventerete i migliori.

Più che sul giocatore punterei il focus sull’uomo, la persona. La famosa Mamba Mentality, più di una trovata pubblicitaria, una vera e propria filosofia, fare pace con la paura e sfidare se stessi. Sfidare se stessi a dare il proprio massimo, provare a superare i propri limiti attraverso il lavoro.

La legacy di Kobe che più mi rimarrà sotto pelle è questa, questa voglia di dominare mentalmente, non mollare mai e provare a “vincere” in ogni situazione e se non accade lavorare fino al punto in cui arriverà l’obbiettivo.

Kobe, più di un giocatore di pallacanestro.


Dear Kobe… Thank You. Il video tributo della crew di LakeShow Italia.

Per saperne di più, ascolta il podcast:

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