«The Olympic Games were created for the exaltation of the individual athlete.»
Pierre de Coubertin
Indianapolis, Atene e Tokyo sono tre posti geograficamente molto distanti con apparentemente nulla in comune. Per la carriera di Kobe Bryant queste città hanno una rilevanza non secondaria, e rappresenteranno il punto di partenza di un viaggio che terminerà il 24 Agosto 2008 a Pechino.
In copertina: Kobe Bryant durante la finale del torneo di pallacanestro ai Giochi della XXIX Olimpiade di Pechino, Beijing Olympic Basketball Gymnasium on August 24, 2008 in Beijing, China (Jed Jacobsohn, Getty Images).
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🥴 That Dream… Was a Nightmare
Team USA veniva da tre eliminazioni inattese e difficili da digerire: il FIBA World Championship in casa ad Indianapolis nel 2002 era stato un disastro, con l’eliminazione ai quarti di finale per mano della Jugoslavia – che poi sarà campione – e settimo posto finale.
All’Olimpiade di Atene nel 2004, al dolce ricordo per noi italiani per un argento incredibile si contrappone l’amaro di un bronzo che Team USA non si aspettava. James, Wade e Anthony – guidati dai veterani Tim Duncan e Allen Iverson – alla loro prima apparizione FIBA non riescono ad incidere.
Ai successivi Campionati Mondiali in Giappone nel 2006, Team USA si presenta con coach Mike Krzyzewski in panca e con un roster che in condizioni normali avrebbe agevolmente vinto il torneo, ma la poca voglia ed una Grecia stellare in semifinale spediscono gli statunitensi fuori dalla finale e li relegano al secondo terzo posto consecutivo.
Insomma, la nazionale statunitense era passata dai fasti del Dream Team di Barcellona 1992 al Nightmare Team delle competizioni appena citate, il talento era ovviamente sufficiente a vincere ma la mentalità di molti dei giocatori della squadra a stelle e strisce non era quella giusta, mancava cattiveria, mancava qualcosa che in quel momento un solo giocatore poteva dare: Kobe Bryant.

🆙 Road to Redemption
In questo ideale viaggio arriviamo all’estate 2008, i Los Angeles Lakers perdono le NBA Finals in 6 gare contro gli odiati Boston Celtics e per Kobe quella sconfitta diventerà un’ossessione, ma l’amore per il gioco e lo spirito competitivo di Bryant sono lì pronti a prevalere e a prepararlo alla prossima sfida, l’Olimpiade di Pechino.
Fiumi di parole furono scritte sulla potenziale difficoltà che il Black Mamba avrebbe incontrato ad integrarsi in un team dove le stelle erano tante ed il pallone sempre uno.
I dubbi non erano solo dei media: anche Jerry Colangelo in un meeting a seguito della leggendaria performance da 81 punti a Toronto, chiede a Kobe come si vedrebbe in un ruolo di creazione e non di finalizzazione in Team USA, del resto lo stesso figlio di Jellybean sa che la più grande sfida sarà adattare il suo gioco e risponde.
«Farò tutto quello che serve per vincere, voglio solo essere in quel team.»
Kobe Bryant

Alle parole, Kobe fa seguire i fatti: per vincere sa che deve non solo adattarsi ma dare una svegliata ai suoi compagni, deve farli salire di livello per evitare di incappare in una brutta figura e l’unico modo che ha per farlo è set the tone come si suol dire negli Stati Uniti.
Tournament of the Americas 2007. USA-Venezuela è il primo banco di prova, il novello numero 10 ruba palla a Grevies Vasquez e si lancia sul parquet per completare il recupero, subito dopo intercetta un passaggio e conclude in contropiede, era l’esempio perfetto,
Tornando all’estate della competizione, Team USA si riunisce a Las Vegas per prepararsi al meglio e Kobe non è ancora pronto ad iniziare l’integrazione ed al primo meeting siede da solo al tavolo accanto a quello dei coach.
«Kobe era seduto al primo tavolo come se non conoscesse gli altri giocatori.»
Nate McMillan, Assistant Coach
Anche sul campo le cose non sembravano andare al meglio, fino a che Jason Kidd fa quello che un normale compagno del Black Mamba non avrebbe mai fatto: gli dice che ha preso un brutto tiro e lo invita a giocare più facile.
Il Kobe di qualche anno prima non avrebbe capito, si sarebbe arrabbiato e creato problemi, il Kobe di questa estate è però in una evidente metamorfosi, accetta il consiglio di Kidd e rilassa pian piano i vincoli del gioco in nome di quel whatever it takes promesso a Colangelo qualche anno prima.
«È semplicemente diventato uno di noi.»
Carmelo Anthony


Greivis Vasquez and Kobe Bryant (Nathaniel S. Butler and Jamie Squire, NBAE via Getty Images)
Il Torneo Olimpico
Il torneo inizia ed il processo non era ancora terminato, l’evento che renderà la leadership di Kobe evidente al mondo ed ai suoi compagni arriva nei primi minuti della gara contro la Spagna nella fase preliminare del torneo: Bryant segue Rudy Fernandez, quando lo spagnolo si muove verso un blocco all’altezza del tiro libero Kobe vede la sua chance di mettere il marchio su quel team.
Il bloccante era Pau Gasol, suo compagno di squadra ai Lakers. Bryant non rallenta, non si sposta e va dritto sul catalano colpendolo e stendendolo: un messaggio chiaro, non ci sono amici sul parquet, Pau e la Spagna erano gli uomini da battere.
LeBron James, parlando di Kobe in seguito alla sua scomparsa, ha citato l’episodio, ricordando cosa pensò in quel momento.
«Si, questo ragazzo è di un altro livello, per lui si tratta solo di vincere per chi o con chi sta giocando in quel momento.»
LeBron James
Anche il coaching staff resterà impressionato dall’accaduto e il McMillan stranito dal Kobe solitario del primo giorno dirà:
«Ha mandato un messaggio a tutti, alla Spagna e a noi: “Pau indossa una canotta diversa, non siamo compagni di squadra”.»
Cinque gare per altrettanti successi con uno scarto medio di 32 punti, Team USA era pronto. Il Redeem Team aveva finalmente preso forma e sembra avere la silhouette di un serpente.
Una marcia trionfale
I giochi di Pechino non furono per Bryant solo un momento di affermazione sportiva ma anche di validazione globale, un po’ come a Barcellona nel 1992 per Michael Jordan, le Olimpiadi cinesi hanno affermato Kobe come personaggio totale e questo elemento è quello che darà una svolta alla trasformazione del prodotto della Lower Marion High School da villain a vincente.
Nella normalità per Bryant c’era immenso amore a Los Angeles e un odio diffuso in moltissime altre arene della Lega, a questo contesto di odio aggiungete un ego fortissimo ed affamato e la prima decade di Kobe in NBA è presto spiegata, dagli attriti con Shaquille O’Neal agli scioperi del tiro Bryant non aveva la struttura di un giocatore che potesse essere l’Alpha Man in un team vincente.
Pechino darà al Black Mamba questo pezzo mancante del puzzle, permettendogli di capire con un’esperienza bellissima e vincente come possa essere utile sfruttare le potenzialità dei compagni per ottenere quelle vittorie che tanto lo ossessionavano, l’anello normalmente e l’oro olimpico in questo momento.
Nella fase ad eliminazione diretta gli Stati Uniti battono Australia (+31) ed Argentina (+20) qualificandosi per la finale contro la Spagna. Le due favorite si trovano di nuovo di fronte il 24 Agosto, l’obiettivo per il Redeem Team è vincere di nuovo stavolta per portare a casa l’oro tanto atteso.


(Jesse D. Garrabrant and Jamie Squire, NBAE via Getty Images)
🥇 24 Agosto 2008: la Finale
La partita, a differenza del primo scontro, è molto equilibrata: nel primo quarto Team USA tira 12/16 dal campo mettendo a segno 38 punti, ma la Spagna – nonostante l’assenza di José Calderón – riesce a tenere botta chiudendo la frazione sotto solo di 7 punti.
Nel secondo quarto Kobe entra sul serio nel match: tripla piedi a terra contro la difesa a zona della Spagna, schiacciata in contropiede dopo aver recuperato un rimbalzo lungo, assist per Melo per una tripla dall’angolo, alley-oop dopo un passaggio tutto campo di Chris Paul e Team USA scollina i 10 punti di vantaggio, il tutto condito dalla marcatura di Fernandez, principale terminale offensivo degli spagnoli sugli esterni.
Nonostante la furia statunitense, gli iberici restano nel match e chiudono il primo tempo sotto di soli otto punti, 69-61.
La Spagna entra nel secondo tempo con un’altra attitudine difensiva e guidata da Juan Carlos Navarro si fa sotto, l’idea offensiva è quella di mettere in piedi un attacco che sfruttasse il pick-and-roll tra Navarro e Gasol, per permettere a La Bomba di sfruttare lo spazio concesso dagli americani che difendevano il pick-and-roll con il drop coverage.


Kobe Bryant and Pau Gasol (Jed Jacobsohn, Getty Images)/
La Spagna riesce a sfruttare l’attitudine un pelo svogliata degli avversari e ricuce lo strappo fino a che LeBron deciderà a fine quarto di mettere le marce alte, ristabilendo un vantaggio vicino alla doppia cifra (91-82).
L’ultimo periodo inizia con il Black Mamba che manda l’ennesimo messaggio prendendo in consegna Navarro e, dopo averlo inseguito su un blocco, stoppando il suo tentativo di tripla.
I primi possessi offensivi statunitensi sono poco organizzati e con poca condivisione del pallone, la Spagna riesce ad arrivare con una tripla in transizione di Fernandez a -2 ad 8 minuti dalla fine. Ancora una volta Kobe decide di prendere in mano la partita, penetra con la mano sinistra prendendo il centro dell’area e segna contro Rudy, nel possesso successivo azione simile ed assist per la tripla di Deron Williams che riporta gli americani sul +7.
🐍 Il morso di Kobe Bryant
Il momento è quello decisivo, Team USA cerca di aumentare la pressione difensiva ed a rimbalzo e Kobe gioca molti palloni attaccando l’area e creando per i compagni, un assist per la schiacciata di Dwight Howard allontana la Spagna. Fernandez non vuole lasciare andare la partita e riavvicina gli spagnoli con una tripla dall’angolo, Bryant non si lascia intimorire e segna dall’angolo quella che sembra una risposta al numero 5 spagnolo.
La partita è viva, fisica. Fernandez è in trance, a 5 minuti dalla fine sfrutta uno switch tra Kobe e Howard poco aggressivo per attaccare dal palleggio il centro allora ai Magic schiacciando e subendo il fallo, la Spagna torna a -8.
La successiva difesa a zona della Spagna sembra un rebus irrisolvibile, Kobe, Paul e gli altri tirano senza ritmo dalla lunga distanza facendo il gioco degli spagnoli che con un jumper dalla media di Gasol si riportano entro i due possessi di distanza.
Penetrazione di Dwayne Wade e scarico verso l’esterno per Bryant che riceve ad otto metri dal canestro, finta di penetrazione su Rudy in recupero e leggera separazione ottenuta. Tiro, canestro, fallo e tiro libero aggiuntivo che chiuderanno sostanzialmente la partita ed un dito portato alla bocca per zittire gli ostili, che diventerà il Mamba Moment di questa Olimpiade.
Successo per Team USA (118-107) e redenzione compiuta. Per Kobe 20 punti, 3 rimbalzi, 6 assist e 2 stoppate e la consapevolezza di aver acquisito la maturità per tornare all’assalto del Titolo NBA. Ma di questo… ne parleremo in altri momenti.
La ricostruzione di quel momento con tante clip dell’epoca, la voce del nostro Nello e la musica di M.I.A. Buona visione!
Del Redeem Team, la crew di Lakeshow Italia ne ha parlato nella ventiseiesima puntata di Lakers Speaker’s Corner con un ospite d’eccezione: Francesco Andrianopoli aka Fleccio di Ball don’t Lie.

Raccontare le gesta sul parquet di Kobe Bryant non è semplice. Impossibile scegliere le giocate più belle, più importanti o più decisive. Con indosso la canotta gialloviola numero 8 prima e 24 poi, The Black Mamba ha conquistato cinque titoli NBA, due premi di MVP delle NBA Finals, uno della regular season, due medaglie d’oro olimpiche, 18 convocazioni all’All-Star Game (con quattro MVP della partita) e collezionato una serie di giocate, record e prestazioni che rimarranno per sempre nelle memorie degli appassionati
La crew di LakeShow Italia ha deciso di ripercorrere la carriera della leggenda dei Los Angeles Lakers attraverso ventiquattro Mamba Moments, per un countdown tra i momenti più significativi di una carriera come pochissime nella storia del basket.
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Ingegnere, partenopeo disperso tra le Alpi svizzere, world traveler. Ho cominciato con Clyde Drexler per finire ai Lakers. Everything in its right place, no?