In copertina: Kobe Bryant #8 of the Los Angeles Lakers displays emotion against the Indiana Pacers during Game Four of the 2000 NBA Finals on June 14, 2000 at Conseco Field House in Indianapolis, Indiana. (Nathaniel S. Butler, NBAE via Getty Images)
Stagione 1999/00. La prima allo STAPLES Center e Anno I dell’era Phil Jackson. Dopo tre anni di delusioni, la rivoluzione estiva voluta dall’owner Jerry Buss e dal General Manager Jerry West ha sortito i suoi effetti. Ma di questo, ne parleremo in un altro momento.
I rinnovati Los Angeles Lakers conquistano il primo seed (67-15, secondo miglior record della franchigia dopo le 69 vittorie del 1971/72) della Lega trascinati da uno Shaquille O’Neal a dir poco dominante. The Diesel è il top scorer della Lega, il primo per percentuale dal campo, il secondo rimbalzista e il terzo stoppatore. In tre lettere: MVP.
Ma Shaq non è solo. Se il centro – dopo essere stato nominato MVP dell’All-Star Game di Oakland insieme a Tim Duncan – è inserito nel primo quintetto All-NBA e nel secondo All-Defensive, il ventunenne Kobe Bryant viene inserito nel secondo quintetto assoluto e nel primo difensivo.

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Il cammino verso le Finals
Al primo turno dei playoff, i gialloviola affrontano i Sacramento Kings di Webber e Divac. La serie è meno scontata del previsto, Shaq fatica alla Arco Arena e il successo arriva solo nella decisiva Gara 5 (all’epoca il primo turno era ancora al meglio delle cinque gare).
Contro i Phoenix Suns, nelle semifinali di Conference, gli angeleni partono ancora con due successi interni, di cui il secondo deciso dal game-winner di Bryant. In Arizona però, memori delle difficoltà del turno precedente, passano in Gara 3 per poi chiudere al ritorno in California.
Le Western Conference Finals offrono la sfida contro i Portland Trail Blazers, di Pippen e Wallace. Altra serie durissima: i Lakers vincono Gara 1 ma vengono travolti in Gara 2. I ragazzi di Jackson però sono solidi mentalmente e tornano dall’Oregon con due successi. Portland passa ancora ad L.A. e pareggia tra le mura amiche.
Gara 7 è entrata nella storia della NBA. Ma anche di quella leggendaria gara, dal parziale di 25-4 all’iconico Bryant… to Shaq! ne parleremo in un altro momento.

The 2000 NBA Finals
Ad attendere i gialloviola all’atto conclusivo della stagione ci sono gli Indiana Pacers, sconfitti alle ECF da Bulls e Knicks nei due anni precedenti e allenati da una vecchia conoscenza dei tifosi angeleni: Larry Bird. In stagione Indiana vince 56 partite e dopo aver eliminato Milwaukee e Philadelphia conquistano il primo viaggio alle NBA Finals della loro storia battendo New York.
L’entusiasmo dei Pacers è alle stelle: Reggie Miller è reduce da una prestazione storica in Gara 6, quando al Madison Square Garden ha realizzato 17 dei 34 punti di squadra nell’ultimo quarto contro i soli 18 messi a segno dagli avversari. Inoltre, i Lakers hanno sudato le proverbiali sette camice per battere Rip City e hanno due giorni di riposo in meno.
Allo STAPLES Center, in Gara 1 i padroni di casa non sono per nulla ospitali e partono fortissimo: +15 nel primo quarto tirando con un fantascientifico 15/20 dal campo tenendo gli avversari al 35%. Austin Croshere tiene vivi i suoi, mentre Mark Jackson segna 10 punti nel terzo quarto riducendo lo svantaggio a sole due lunghezze. I Lakers non si scompongono e si affidano a The Big Aristotle, che segna 12 punti nell’ultimo quarto e chiude la partita con 43 punti, 19 rimbalzi, 4 assist e 3 stoppate. Bryant contribuisce con 14 punti (6/13 al tiro), 3 rimbalzi, 5 assist e tanta difesa su Rose e Miller.
L’infortunio di Kobe
Gara 2 è equilibrata fin dall’inizio, soprattutto perché Kobe è costretto a lasciare la gara dopo poco più di otto minuti di gioco. Dopo un jumper, Bryant atterrà sul piede di Jalen Rose procurandosi una distorsione alla caviglia.

Anni dopo, nel corso di una puntata del suo podcast, Rose ammise di aver intenzionalmente messo il piede sotto quello di Bryant per una scorrettezza meglio nota in tempi recenti come Pachulia’s Move.
Penso di averlo fatto di proposito, non posso dire che sia stato un incidente.
Jalen Rose
Cinque anni e mezzo dopo, il Black Karma ha messo ancora Jalen di fronte al numero 8 gialloviola , che del tutto casualmente realizzò contro l’avversario ora in maglia Raptors una quantità consistente degli 81 punti messi a referto.
Un decennio abbondante dopo…
Kobe Bryant, still ruthless. 😂
— NBA on ESPN (@ESPNNBA) June 5, 2017
Catch @JalenRose in “Jalen vs. Everybody” this Tuesday at 7:30 p.m. ET on ESPN. pic.twitter.com/ewcS3jnWNZ
Grazie al contributo di Glen Rice e Ron Harper (21 a testa) e del solito O’Neal (40+24 con 9/16 ai liberi nell’ultimo quarto) i Lakers conservarono il fattore campo.
La Finals si spostano nell’Indiana, dove i padroni di casa sono intenzionati a invertire l’inerzia della serie, grazie all’assenza di Kobe in Gara 3. I Pacers allungano subito e piazzano un parziale ad ogni tentativo di rientro dei Lakers. Nel finale Harper segna la tripla del -3, ma Reggie Miller (33 con 9/9 ai liberi) è freddo dalla lunetta e chiude la gara. Paga dividendi l’hack-a-Shaq, poiché il centro ex Magic ai 33 punti e 13 rimbalzi aggiunge un pessimo 3/13 a gioco fermo (1/7 nel solo ultimo quarto).
Gli ho chiesto come si sentiva, mi ha detto che gli faceva ancora male. Abbiamo deciso di risparmiarlo, è stata una decisione difficile ma credo che nel lungo termine sia meglio così.
Kobe ha capito.
Phil Jackson
14 Giugno 2000, Conseco Fieldhouse
Nel quarto atto della serie l’atmosfera è caldissima, in campo e sugli spalti. I Pacers partono forte: Miller segna da tre, mentre Rik Smits realizza quattro canestri senza errori. In difesa Dale Davis e Perkins lavorano bene su Shaq, che combina con Kobe un complessivo 2/9 dal campo. Indiana chiude il primo quarto avanti 33-23.
Nella seconda frazione i californiani riducono le distanze. Bryant segna un paio di jumper dalla media, O’Neal – dopo aver commesso il terzo fallo – schiaccia due volte e segna il semigancio del -3. Miller e gli ottimi Fisher e Robert Horry fissano il punteggio all’intervallo lungo: 51-54 per i padroni di casa.
Al rientro in campo Kobe commette subito il quarto fallo, ma Coach Zen – come in precedenza per Shaq – scommette sulle sue star lasciandole in campo. Mossa che paga subito dividendi, con il Black Mamba che inizia a scaldare i motori nella città della Indy 500. Prima morde la difesa avversaria chiudendo una penetrazione con un jumper dalla media, poi sfrutta il mismatch contro Jackson con un pull up e un floater in avvicinamento.
Dopo aver trovato il primo vantaggio della gara con una tripla di Rice, i Lakers mantengono il comando grazie alle giocate del solito duo, 80-77.

I Pacers non ci stanno e provano a ribaltare la gara con i canestri di Rose e le triple di Miller e Perkins. O’Neal risponde colpo su colpo e in quattro minuti ci sono cinque lead change. Dopo l’ennesima tripla di Killer Miller l’attacco della squadra di Bird s’inceppa. I Lakers non ne approfittano: Shaq segna solo due sei sei liberi tentati, +3 a 44″ dalla sirena. Sam Perkins pareggia, negli ultimi possessi Best e O’Neal non trovano la via del canestro. 104 pari, it’s overtime!
Kobe Bryant is legit
Dopo due canestri di Big Shot Rob, il numero 8 gialloviola va a segno con un floater spezzando il raddoppio dei Pacers. Dopo aver risposto ad una tripla senza senso di Miller, The Big Diesel commette il sesto fallo con 2’33” sul cronometro. Il fresco MVP (36 punti e 21 rimbalzi) viene sostituito dal trentacinquenne John Salley, subito battuto da The Dunking Dutchman.
Never Fear, Kobe is Here.
Parafrasando le celebri parole di Magic Johnson all’indomani dell’infortunio di Kareem Abdul-Jabbar nelle Finals del 1980, Bryant si prende in mano la squadra. Palla nelle sue mani.
Replay. Smith segna ancora contro il malcapitato Salley, nuovo possesso tra le mani del figlio di Jelly Bean. La preparazione è analoga al canestro precedente, ma è più rapida.
Le abbiamo già viste, per tanti anni: queste sono giocate di Michael Jordan.
Federico Buffa
L’attacco dei Lakers è troppo prevedibile, Kobe prova a cambiare lo spartito ma viene stoppato da Smits. Dopo la rimessa Rice sbaglia, ma Brian Shaw cattura e converte in due punti un fondamentale rimbalzo offensivo. Come Reggie nel possesso precedente, Rik è glaciale dalla lunetta: 118-117 con 28.1″ sul cronometro.
Indiana difende egregiamente e riesce non far ricevere Bryant. Shaw tiene il possesso per tutta l’azione prima di avventuarsi in un assalto al canestro non propriamente nelle sue corde.
Nei cinque secondi rimanenti, Miller segna un libero ma sbaglia sulla sirena la tripla della vittoria. È l’apoteosi di Kobe.
La nascita di una superstar
Per il ventunenne nativo di Philadelphia tre giocate clutch con le quali raggiunge l’Olimpo della NBA. Per lui 28 punti (14/27 dal campo, senza triple o liberi tentati), 4 rimbalzi, 5 assist, 1 recupero e 2 stoppate in quasi 47 minuti di gioco. Nell’overtime 8 punti con 4/5 al tiro (Box Score su NBA.com).
Mi sono rilassato come se stessi giocando nel cortile sul retro.
Queste sono le gare che immagini di giocare quando cresci.
Ti perdi nel momento, sei consumato dal gioco.
Kobe Bryant
Quando sono uscito per falli, mi ha detto: “Non preoccuparti, ci penso io.” È stato l’eroe di questa partita.
Shaquille O’Neal
Kobe ha sentito l’importanza del momento, è salito di livello e ci ha trascinato.
Phil Jackson
Che la dinastia abbia inizio!
In Gara 5 i Lakers sprecano malamente il primo match. Solo O’Neal (35+11) riesce ad incidere, mentre il resto della squadra sembra appagata e intenzionata a chiudere la serie in California e viene travolta. Bryant realizza solo 8 punti con il 20% dal campo, Miller (25) e Rose (32+6+5) regalano l’ultima vittoria da coach dei Pacers di Larry Bird.
Non riesco a capacitarmi di come una squadra che lotta per l’anello riesca a perdere di 33 punti.
Phil Jackson
A Los Angeles Shaq (41+12) e Kobe (26+10+4) conducono al titolo la franchigia gialloviola dopo dodici anni di attesa. Nonostante una prestazione poco brillante al tiro, Bryant segna quattro liberi negli ultimi 13″ che chiudono la gara.
O’Neal viene nominato MVP delle Finals, diventando il terzo atleta della storia a vincere nella stessa stagione il trofeo di miglior giocatore della regular season, della partita delle stelle e delle finali.
Non sapevo che lo champagne facesse bruciare gli occhi così tanto. È tremendo.
Kobe Bryant
Ma come vedremo più avanti, non sarebbe stata l’ultima volta che Kobe & Shaq avrebbero stappato delle bottiglie insieme.


Raccontare le gesta sul parquet di Kobe Bryant non è semplice. Impossibile scegliere le giocate più belle, più importanti o più decisive. Con indosso la canotta gialloviola numero 8 prima e 24 poi, The Black Mamba ha conquistato cinque titoli NBA, due premi di MVP delle NBA Finals, uno della regular season, due medaglie d’oro olimpiche, 18 convocazioni all’All-Star Game (con quattro MVP della partita) e collezionato una serie di giocate, record e prestazioni che rimarranno per sempre nelle memorie degli appassionati
La crew di LakeShow Italia ha deciso di ripercorrere la carriera della leggenda dei Los Angeles Lakers attraverso ventiquattro Mamba Moments, per un countdown tra i momenti più significativi di una carriera come pochissime nella storia del basket.
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