Mettetevi comodi: sarà un lungo viaggio.

L’amore incondizionato dei fan dei Los Angeles Lakers. Le clamorose prestazioni sul parquet – condite dalle signature moves ereditate dal suo idolo e Maestro Michael Jordan – con indosso la canotta più venduta al mondo tra il 2001 e il 2003. La trionfale trilogia dell’anello conclusasi con il three-peat del 2002. Sembrava tutto pronto per la consacrazione di Kobe Bryant a nuovo volto della NBA.

In copertina: Kobe Bryant #24 of the Los Angeles Lakers runs the ball up the court as he and hi team take the win over the Boston Celtics in Game Seven of the 2010 NBA Finals on June 17, 2010 at Staples Center in Los Angeles, California. (Nathaniel S Butler, NBAE via Getty Images) Tutte le clip video, salvo diversa indicazione, sono di proprietà della NBA. Sono utilizzate a scopo divulgativo senza intenzione di infrangere copyright. © NBA Media Ventures, LLC.

🍂 La Caduta

L’ascesa del nativo di Philadelphia s’interruppe bruscamente e come un novello Icaro, a due passi dal sole cadde rovinosamente. L’estate del 2003 fu segnata dall’accusa di stupro in Colorado, chiusa con un accordo tra le parti un anno dopo. La fine del procedimento giudiziale e la lettera pubblica di scuse non bastarono.

La reputazione di Bryant era macchiata, per sempre. Se Nike e Spalding tornarono sui propri passi, McDonald’s e Nutella rescissero le partenership commerciali. Di conseguenza, l’NBA puntò i riflettori su Duncan, Garnett, Nash e il giovane LeBron James.

Sul parquet, non andò meglio. All’indomani delle NBA Finals del 2004 perse contro i Pistons, arrivò la burrascosa separazione con Shaquille O’Neal. Mentre Kobe, il villain, bucava le retine avversarie con una frequenza inferiore solo a Chamberlain e Jordan, il rivale conquistava il titolo al fianco di Dwayne Wade.

☀️ La Risurrezione

It’s not whether you get knocked down, it’s whether you get up.

Vince Lombardi

Per uno dei più grandi coach dello sport «Non importa quante volte cadi, ma quante volte cadi e ti rialzi.» e il figlio di Jellybean era intenzionato a risorgere. Del resto non difettava di perseveranza, dedizione, passione, concentrazione, coraggio e ottimismo. Ovvero i pilastri portanti della Mamba Mentality.

Bryant iniziò a cogliere i frutti del suo percorso di redenzione conquistando l’agognato titolo di MVP nel 2008. In estate, con il Redeem Team, alle Olimpiadi di Pechino completò la sua maturazione sul campo e nel rapporto con i compagni. L’anno dopo, con il primo titolo vinto senza l’ingombrante presenza di Shaq, la rinascita di Showboat era completa.

Quasi. Occorreva rialzarsi dopo la brutta caduta di Gara 6 delle Finals del 2008 contro i Celtics. Una sconfitta dalla quale Kobe trasse carburante per alimentare il suo fuoco interiore e sulla quale tornò nel corso del suo Farewell Tour nel 2015.

Aver avuto quella rivincita ha significato molto. La metterò in questi termini: se avessi perso quelle Finals, ora starei malissimo.

Sul serio, sarei seduto qui, adesso, e mi farebbe male parlarne.

Kobe Bryant

Ma procediamo con ordine.

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🏆 Never Change a Winning Team

Estate 2009. I Los Angeles Lakers decidono di scambiare o addirittura di non firmare le scelte del draft 2009; il GM Mitch Kupchak esercita la team option sui contratti di Powell e Mbenga e quelli in scadenza di Odom (quadriennale) e Brown (biennale) vengono rinnovati. Del resto, squadra che vince non si cambia. O quasi.

Con una mossa a sorpresa, i Campioni in carica firmano il trentenne Ron Artest (triennale da 18 milioni di dollari), che sostituisce il ventiquattrenne Trevor Ariza (quinquennale da 33 milioni), che intraprende il percorso opposto dalla California al Texas.

La mossa è importante economicamente – l’arrivo dell’ex Rockets rende possibile un rinnovo più remunerativo per The Goods – ma lo è di più dal lato tecnico. Il nativo di Queensbridge sbarca nella Città degli Angeli per aggiungere esperienza e cattiveria agonistica ai gialloviola oltre che ricoprire l’importante ruolo di stopper per le tante ali piccole che affollano la Lega: Anthony e il giovanissimo Durant a Ovest, James e Pierce a Est.

Finalmente sono un Laker e non vedo l’ora di scendere in campo con Kobe, Pau e il resto della squadra. Ho parlato con coach Phil, sono un suo fan e non vedo l’ora di essere allenato da lui.

Ho deciso dopo un pranzo col Dottor Jerry Buss, in cui ho capito quanto grande fosse questa franchigia. Farò di tutto per aiutare i Lakers a difendere il titolo.

Dallo statement di Ron Artest

Ad un anno dalla proposta nella doccia del Garden di Boston, si concretizza il matrimonio tra Artest e i Lakers. Per saperne di più…

🐍 Global Ambassador

L’offseason del fresco vincitore del Bill Russell NBA Finals MVP Award è tanto spensierata quanto ricca d’impegni. Bryant presenzia con Vanessa agli ESPYs Awards e al matrimonio di Odom, col padre Joe assiste al derby angeleno di MLB mentre con Magic Johnson partecipa alla commemorazione di Michael Jackson.

Dopo aver ricevuto il Global Ambassador Award dal Ministro dello Sport cinese, Kobe parte per l’Asia toccando Filippine, Singapore, Taiwan e Cina prima di chiudere le vacanze in compagnia della moglie e delle figlie Natalia e Gianna a Parigi. Inoltre, a testimoniare il ritrovato feeling con fan e media, poco dopo il Media Day arrivano l’importante accordo con la Panini America e la copertina di NBA 2K10.

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🏀 Operation Repeat

Un problema al tendine costringe Gasol a saltare le prime tre settimane di partite; si parte con la vittoria contro gli LA Clippers, che assistono alla consegna degli anelli ai Campioni in carica. I Lakers inanellano sei vittorie consecutive – condita dalle W in overtime in casa di OKC e Houston – con Bryant costretto agli straordinari e per tre volte sopra 40 punti.

Un problema alla schiena ferma Luke Walton (out sei settimane), ma col ritorno di Pau Gasol i gialloviola innestano le marce alte: streak di undici successi con uno scarto medio superiore ai 15 punti.

Contro i Pistons, nell’ultima gara prima del rientro dell’amico catalano, il figlio di Jellybean oltre a realizzare 40 punti riusce a segnare un vero e proprio circus shot. (© NBA Media Ventures, LLC.)

Tutte le avversarie segnano meno di 100 punti, ad eccezione dei Miami Heat: la gara, contraddistinta dal duello tra Kobe e Dwyane Wade, è decisa da una tripla sulla sirena del Black Mamba. Il primo dei sette game-winner che il numero 24 realizza nella stagione.

Contro Minnesota, Bryant si procura una microfrattura al dito indice della mano destra, di saltare il back-to-back però neanche a parlare. Nello Utah Kobe – anche con lo stomaco sottosopra – sparacchia (7/24 dal campo) e i californiani devono arrendersi. Il Black Mamba non si ferma e nel corso del road trip risorge: season-high (42) a Chicago, game-winner nell’overtime di Milwaukee e cinque successi consecutivi.

Questa è la sfida più impegnativa. Ho giocato con dolori alla caviglia, nocche rotte e cose di questo tipo. È dura perché si ripercuote sulla mia esecuzione.

Kobe Bryant nel post-gara coi Bulls

👀 The Battle of Los Angeles

A Natale, la squadra di coach Phil Jackson detiene i migliori record (23-4) e Defensive Rating (98.4) della Lega. Il piatto forte dell’abituale showcase del Christmas Day della NBA prevede la sfida allo STAPLES Center tra Lakers e Cleveland Cavaliers.

Bryant sente la sfida con LeBron James e l’ex compagno Shaquille O’Neal, monopolizza l’attacco ma non riesce a incidere realmente. Shaq usa le cattive maniere con Gasol e Bynum, LeBron non è brillante e lascia spazio a Mo Williams. I californiani sono nervosi e collezionano quattro tecnici e l’espulsione di Odom. La gara è senza storia, a fine primo quarto i Cavs allungano e dominano la gara, vincendo 87-102. Nei minuti finali, i tifosi angeleni perdono la pazienza e lanciano sul parquet le grandi mani di gommapiuma distribuite prima della partita.

Non è stato un bel modo di festeggiare il Natale. I nostri tifosi non hanno mai reagito in questo modo. Amo il loro entusiasmo, ma non mi è piaciuto questo comportamento.

La partita non è stata ben arbitrata e noi abbiamo giocato molto male, penso sia stato questo a scatenarli.

Phil Jackson

Ci hanno travolto, per loro è stata una passeggiata, per noi un campanello d’allarme da non ignorare.

Kobe Bryant

La sconfitta con Cleveland incrina le certezze dei lacustri. Inoltre, in serata Artest cade dalle scale e si procura una commozione cerebrale: prognosi due settimane. Senza Ron il livello della difesa angelena cala vertiginosamente e con il nuovo infortunio muscolare che affligge Gasol, i Lakers vivono il primo slump della stagione.

Le avversarie segnano regolarmente più di cento punti, mentre l’attacco si affida al solito Kobe, che risponde presente. Bryant segna 44 punti (season high) con 11 assist contro Golden State e la tripla della vittoria contro Sacramento. Nonostante un problema alla schiena, il Mamba contro Dallas è ancora decisivo e realizza il canestro che chiude la gara: vittoria numero 3.000 per la franchigia della famiglia Buss, come nessun’altra nella storia della NBA. Le tre settimane più dure dell’anno si chiudono con un bilancio di 7 vittorie e 5 perse.

💬 «The mentality has to change.»

Con i rientri di Artest, Walton e Gasol contro i Clippers, per la prima volta in stagione, The Zen Master può contare sul roster al completo. I Lakers si ritrovano e ricominciano a correre.

Se in attacco muoviamo il pallone e difendiamo come sappiamo fare, siamo una squadra difficile da battere.

Pau Gasol nel post-gara contro i Clippers

I Campioni battono gli Orlando Magic (con super Shannon Brown da 22 punti) e partono per l’annuale Grammy Road Trip. Il primo match sulla East Coast è contro i Cavaliers, la gara è combattuta e i californiani ricuciono l’allungo dei padroni di casa con una tripla di Artest e quattro punti di Bryant (31 punti con 12/31). Nel finale però, i lacustri non segnano più e non riescono ad arginare James (37 punti) e Kobe non è contento.

L’approccio quando giochiamo contro questo tipo di squadre deve cambiare. Sono fisiche, competitive, testarde.

Al momento questo non fa parte del nostro DNA. Dobbiamo crescere per arrivare a questo livello, continuando a giocare una pallacanestro intelligente.

Kobe Bryant nel post- gara contro i Cavaliers

I gialloviola riescono ad alzare il livello e passano a New York, Washington, Indianapolis e Philadelphia. A Toronto Kobe (27 punti, 16 rimbalzi, 9 assist) sbaglia il canestro della vittoria, mentre a Memphis lo sforzo profuso (44 punti) viene vanificato dalla tripla di Rudy Gay. La ciliegina sulla torta arriva a Boston, dove The Black Mamba manda a bersaglio l’ennesimo game-winner della stagione. Con il canestro del TD Garden è iniziato il countdown dei Mamba Moments.

Loro ci hanno schiantato due anni fa, per noi era una gara importante. Poi questa squadra sarà tra le favorite per raggiungere le Finals ad Est.

Lamar Odom nel post-gara contro i Celtics

Dopo una brutta prova contro Charlotte, la caviglia sinistra di Bryant si distorce contro Denver. Kobe salta cinque partite ma la squadra non ne risente: Lamar Odom (22 rimbalzi contro Portland), Pau Gasol (21 punti, 19 rimbalzi, 8 assist e 5 stoppate contro San Antonio), Brown (27+10 contro Golden State) e Bynum salgono di livello e conquistano quattro vittorie consecutive. L’unica sconfitta arriva ad opera dei Celtics, con Derek Fisher incapace di segnare il canestro della vittoria.

〽️ Up and Down

Bryant non forza i tempi di recupero e salta l’All-Star Game, gli unici gialloviola presenti al weekend delle stelle sono Gasol (riserva ad Ovest) e Brown (gara delle schiacciate). Il riposo giova a Kobe, che al rientro contro Memphis è quasi perfetto: 32 punti con il 78% di True Shooting, 7 rimbalzi, 6 assist, 3 recuperi e 2 stoppate. Oltre al game-winner, naturalmente, nella millesima gara in carriera.

Col rientro del numero 24 i Lakers vivono il secondo momento di appannamento. I lacustri vincono tre gare interne, ma perdono le quattro lontano dallo STAPLES Center. In Florida il Mamba gioca due partite sontuose contro Miami (39 punti) e Orlando (34) ma fallisce i tiri della vittoria.

Ci sono alcuni errori che una squadra esperta come la nostra non dovrebbe commettere. Stiamo lavorando per cercare una soluzione, ma oggi eravamo semplicemente scarichi.

Phil Jackson nel post- gara con i Magic

Al ritorno sotto il sole della California i Lakers tornano al successo. Contro Toronto Bryant segna il settimo canestro vincente della stagione, sette come i successi consecutivi che i Campioni inanellano in due settimane di ottimo basket. Kobe è efficiente ed ecumenico, Gasol aumenta il volume del suo gioco, Artest ritrova l’affidabilità al tiro e Odom è un rebus per quasi tutte le frontline avversarie.

L’atmosfera sembrava quella dei playoff. Eravamo sotto nel primo tempo, ma siamo stati in grado di lottare per rimontare.

Kobe Bryant nel post-gara con gli Spurs

A complicare la marcia di avvicinamento alla post season è l’infortunio al tendine d’Achille di Andrew Bynum. Il finale di regular season dei Lakers è complesso: il blowout subito ad Oklahoma City – possibile avversaria al primo turno dei PO – mina le certezze della squadra di Jackson. I californiani lasciano in tuta Bryant in quattro occasioni e perdono sette delle ultime undici gare disputate.

Nonostante la flessione finale, i gialloviola conquistano il miglior record (57-25) ad Ovest e finiscono dientro Cleveland e Orlando, ma hanno il miglior Defensive Rating tra le contender. Bryant chiude la stagione con 27 punti (45.6 % dal campo), 5.4 rimbalzi, 5 assist e 1.5 recuperi in 38.8 minuti a partita. Kobe è inserito nell’All-NBA First Team e nell’NBA All-Defensive First Team, inoltre giunge terzo nell’MVP Award dietro a James e Durant. Ad inizio Aprile, il Mamba estende il contratto con i Lakers: altri tre anni a 90 milioni di dollari.

Kobe è stato una pietra miliare dei Lakers per oltre in decennio, ci ha aiutato e guidato alla conquista di quattro titoli NBA. Indubbiamente è uno dei più grandi giocatori di basket della storia.

Mitch Kupchak

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🔥 It’s Playoff Time, com’on Thunder!

Il primo round della post season propone ai Lakers l’ostica sfida con gli Oklahoma City Thunder, squadra atletica e talentuosa finita all’ottavo seed nonostante le 50 vittorie stagionali. I primi sei elementi della rotazione dei Campioni in carica sfiora i trent’anni, le stelle degli esplosivi Thunder a stento possono comprare una birra: Nonno Kristic (26 anni) guida i vari Green (23), Durant (21), Westbrook (21), Harden (20) e Ibaka (20) alla prima avventura ai playoff.

In Gara 1 [Box Score] entrambe le squadre sono al completo. I gialloviola fanno la voce grossa sotto canestro con Gasol e Andrew Bynum, piazzano l’allungo a fine primo quarto e conducono per tutta la partita. Bryant, al rientro dopo lo stop, segna 21 punti; Durant – il top scorer della RS con 30.1 punti di media – fatica e segna 24 punti con 7/24 dal campo. Gara 2 [Box Score] è equilibrata, ci sono 14 situazioni di parità e 12 lead changes. L’equilibrio è spezzato da un jumper di Kobe (15 dei 39 punti nell’ultimo quarto) a due minuti dalla fine, il finale è caratterizzato dai tanti viaggi in lunetta e da un errore dall’arco di KD.

La serie si sposta in Oklahoma e il primo atto [Box Score] alla caldissima Chesapeake Energy Arena è un’altra battaglia. I lacustri guidano quasi per tre quarti, poi subiscono rimonta e sorpasso dei padroni di casa trascinati dagli scatenati Kevin Durant e Russell Westbrook, che nell’ultimo quarto combinano per 22 punti, uno in più di tutti i californiani. Il numero 24 angeleno tenta la hero ball, che non paga anche grazie al single coverage di Durant. L’andamento della seconda gara [Box Score] nel Sooner State è speculare e contrario a quello di Gara 2. I Thunder allungano a fine primo quarto e dominano la gara. Bryant (12 punti con solo 10 tiri tentati) e compagni non possono nulla contro la freschezza di OKC, dalla panca James Harden realizza 15 punti.

La nostra aspettativa era di vincere entrambe queste partite e chiudere la serie, penso sia normale per una squadra che si trova sul 2-0. Ma non corrisponde alla realtà, ci aspetta una dura battaglia ma credo sarà divertente.

Kobe Bryant

Gara 5 [Box Score] è un pivotal game e i Lakers disputano una partita sontuosa. Nel primo tempo annichiliscono gli avversari (+19 con OKC costretta al 26.2% dal campo) e regalano allo STAPLES Center 24 minuti di garbage time. Bryant e Artest disinnescano Westbrook e Durant, mentre Pau Gasol e Bynum travolgono la frontline avversaria.

La sesta partita [Box Score] è durissima, per 15 volte le squadre si alternano al comando e i Thunder riescono a contenere le torri angelene. Kobe gioca un terzo quarto sontuoso (16 punti con tre triple), mentre la combo Russell & Kevin riporta sotto OKC. Ron Artest segna da oltre l’arco e il jumper del +7 a cinque minuti dalla fine, ma i Thunder rispondono con uno stordente 10-0.

Il Mamba replica a Durant e segna l’impossibile jumper del -1 a 2:11 dalla sirena, poi per quasi due minuti non segna più nessuno. Lamar Odom piazza un paio di giocate fondamentali in difesa – «Another big play for Lamar» cit. Mike Breen – mentre Westbrook (due volte) e Gasol non trovano la via del canestro. 17.9″ dalla fine e palla nelle mani di Kobe.

Nel terzo quarto il numero 24 risponde praticamente da solo al poderoso rientro dei padroni di casa, che sospinti dalla bolgia della Chesapeake Energy Arena sembrano poter portare i Campioni in carica a Gara 7. Paradossalmente, Kobe manda a bersaglio il difficile jumper del -1 contro il braccio proteso di Durant, mentre fallisce una conclusione – per lui – più agevole nell’ultimo possesso. Per fortuna sua e dei Lakers, l’hustle di Gasol non è quello del 2008.

OKC non raddoppia Bryant, che attacca RW sulla sua destra e dopo due palleggi lascia partire il suo classico jumper laterale cadendo all’indietro. Ferro, tabella e… il più lesto a rimbalzo è Pau Gasol, sorpasso con 0.5″ sul cronometro. Dopo il timeout, la preghiera dei Thunder si spegne sul primo ferro. Lakers survived!

Secondo molti, noi siamo una grande squadra. Ma non stiamo giocando come se lo fossimo. Siamo stati fortunati a superare questo ostacolo ed avere la possibilità di dimostrare quanto valiamo. Al momento però dobbiamo lavorare duro.

Ron Artest dopo Gara 6

💪 No Discounts, sweep of Jazz

A meno di quarantotto ore dal putback di Gasol, i Lakers rientrano in California per affrontare nelle Western Conference Semifinals gli Utah Jazz (53-29 in RS), già battuti 4-2 nelle WCSF del 2008 e 4-1 al primo turno dell’anno precedente. Tuttavia, i mormoni sono in crescita e reduci dal bel successo contro Denver (battuta da L.A. nelle WCF del 2009).

In Gara 1 [Box Score], contro una difesa organizzata ma meno fisica di quella di OKC, Bryant trova subito il ritmo e segna cinque canestri senza errori nel primo quarto. Con un Pau Gasol in grande spolvero i gialloviola conducono per buona parte della gara, salvo spegnersi e subire il rientro dei Jazz guidati da Deron Williams. Sotto 89-93 a quattro minuti dal termine, il Mamba morde la partita: due liberi, un and-one, jumper dal mid-range e un layup per il 10-2 che ribalta e chiude la gara. Per Kobe 31 punti con 12/19 dal campo.

Sotto di due con poco più di cinque minuti da giocare, Bryant prende il timone dell’attacco angeleno: 3/5 dal campo, 7/7 dalla lunetta per 13 degli ultimi 16 punti dei Lakers. Entrambi gli errori al tiro vengono catturati da Lamar Odom, che segna quattro punti pesantissimi.

L’andamento di Gara 2 [Box Score] è analogo alla sfida precedente, con la differenza che dopo aver piazzato l’allungo i californiani mantengono il controllo della gara. Andrew Bynum, Odom e Gasol spazzano via Boozer e compagni. Bryant è attivo anche in difesa e mette a referto 30 punti con 10/22 al tiro.

Pau e Andrew hanno giocato davvero bene, il lavoro che hanno fatto sotto le plance è stato straordinario. Lamar uscendo dalla panchina ha catturato 15 rimbalzi, è stato incredibile. Oggi abbiamo giocato tutti bene, ma i nostri “big fellas” più di tutti, hanno dominato il pitturato.

Kobe Bryant post Gara 2

La serie si sposta nello Utah. Nel primo atto [Box Score] nel Beehive State i padroni di casa guidano per tutto il primo tempo ma non piazzano l’allungo decisivo. Bryant segna la tripla del sorpasso nel terzo quarto e la gara è un susseguirsi di sorpassi e contro-sorpassi (22 lead changes e 8 parità). Kobe realizza il jumper del 103-102 con 1:43 sul cronometro. I Jazz non mollano e tornano avanti con la quinta tripla – senza errori – dello scatenato Kyle Korver, ma i Lakers sono sul pezzo e nell’ultimo minuto rispondono da oltre l’arco col Mamba e Derek Fisher: +1 a 28.6″ dalla sirena, possesso Jazz. Wesley Matthews sbaglia da tre, Carlos Boozer cattura il rimbalzo offensivo ma non converte. Il numero 24 cattura la palla vagante, subisce fallo e chiude la gara dalla lunetta raggiungendo quota 35.

Gara 4 [Box Score] è senza storia, i gialloviola non fanno sconti, dominano dall’inizio alla fine e completano lo sweep. Per Bryant 32 punti, mentre Gasol chiude la serie coi fuochi d’artificio: 33 punti con 12/18 dal campo, 14 rimbalzi e 2 stoppate.

Abbiamo disputato una delle nostre migliori gare della stagione. Per la prima volta siamo stati solidi per tutta la partita, tranne uno stint di sei minuti nel terzo quarto. Abbiamo controllato il ritmo ed imposto il nostro gioco agli avversari.

Phil Jackson nel post Gara 4

✌ Suns: it’s revenge time, Kobe!

Le Western Conference Finals offrono la sfida tra Lakers e Phoenix Suns (54-28). La squadra allenata da coach Alvin Gentry e diretta dal GM Steve Kerr, dopo aver battuto Portland in sei partite, ha inflitto un netto sweep a San Antonio. Phoenix non corre come ai tempi di Mike D’Antoni, ma è comunque titolare del quarto PACE della Lega e può contare su una delle armi più letali della NBA: il pick-and-roll giocato da Nash e Stoudemire. Inoltre, il veterano Hill si è reinventato difensore di ottimo livello (citofonare Manu Ginobili nel turno precedente) ed è pronto alla sfida con Bryant. I Suns, mutatis mutandis, sono comunque quelli del biennio 2006-2007 e Kobe è intenzionato a vendicare la doppia eliminazione subita.

Per Gara 1 [Box Score] i Suns recuperano Robin Lopez – out da fine Marzo – e lo schierano subito in quintetto per arginare la frontline gialloviola. Phoenix parte 7-0, ma la partita è equilibrata solo nei primi 10 minuti, poi inizia lo show di Bryant. Il numero 24 semina lo stoico Hill, segna contro quattro braccia protese e colpisce più di una volta sul suono della sirena. Un altro reduce delle serie precedenti è Lamar Odom, enigma senza soluzione per Stat e Frye. I Lakers vincono usando le armi preferite dei Suns: transizione, ritmo elevato e tiro da tre.

Gara 2 [Box Score] è più equilibrata, la squadra dell’Arizona ritrova la precisione dalla lunga distanza e con Jason Richardson e Grant Hill armati dai passaggi di Nash restano a contatto fino al 97-95 di inizio quarto periodo. I californiani alzano il ritmo e piazzano la stoccata vincente. Bryant (13 assist, career-high ai PO) si mette al servizio di Pau Gasol, autore di 14 punti nell’ultimo quarto.

Avere uno come Pau a ricevere e finalizzare nel pitturato, rende il gioco molto più semplice. Poi ci troviamo a nostro agio contro squadre che utilizzano raddoppi oppure la difesa a zona.

Kobe Bryant nel post Gara 2

La sfida si sposta dallo Stato dell’Oro a quello del Grand Canyon, mentre tra il secondo e il terzo atto Bryant compare come sé stesso in un’altra serie: Modern Family della ABC. Media e tifosi angeleni s’interrogano su quale versione dei Lakers calcherà il parquet dello US Airways Center: quella remissiva e in difficoltà vista contro i Thunder oppure quella determinata e spumeggiante che ha sweepato i Jazz?

L’andamento di Gara 3 [Box Score] è analogo e invertito a quello del match precedente. La parità viene spezzata nella frazione finale grazie allo scatenato Amar’e Stoudemire. Kobe sfiora la tripla doppia e prova a resistere ma viene supportato dal solo Gasol. In Gara 4 [Box Score] la storia si ripete, questa volta è la second unit dei Suns (54 punti segnati, contro i 20 dei rivali) a indirizzare la gara a metà dell’ultima frazione. Bryant si ripete ma i compagni non incidono, soprattutto in difesa. Come contro OKC, tutto da rifare.

🔐 Closing Time

Il quinto atto della serie [Box Score] segue il flow degli episodi precedenti. Phoenix parte forte ma viene tenuta a bada da Derek Fisher. Bryant, Odom e Gasol tengono costantemente avanti i Lakers (persino +18), che iniziano l’ultima frazione con un vantaggio in doppia cifra. Lentamente, ma inesorabilmente, i Suns tornano sotto grazie alla panchina guidata da Dragic e Channing Frye. Kobe & Pau provano a contenere la rimonta degli ospiti, trascinati da un sontuoso Steve Nash. Il canadese completa un gioco da tre punti, manda a canestro Stat e segna due jumper – entrambi contro il braccio proteso del lungo catalano – per il 98-101 ad 1:21 dalla sirena.

Nel possesso successivo Hill e Richardson negano la ricezione a Bryant, lasciando un comodo jumper dal mid-range ad Artest. Sdeng. Rimbalzo di Gasol, apertura sul perimentro a Ron che spara da tre. Sdeng. L’espressione di Phil Jackson è un insieme di incredulità e disappunto. Phoenix prova a pareggiare con Frye, ma The Buffet of Goodness non trova la retina. Questa volta Kobe ha subito il pallone tra le mani e si prepara ad attaccare Richardson, Nash prova il raddoppio per contringerlo a passare e così accade. In numero 24 pesca Pau che sbaglia clamorosamente una schiacciata.

I Suns hanno 18″ per pareggiare, Nash ci prova immediatamente senza successo ma è il più lesto a rimbalzo. Immediato scarico per J-Rich, altro errore. I californiani concedono un’altra seconda chance e questa volta Jason Richardson (0/5 fin’ora) con l’aiuto della tabella non sbaglia: 101-101 con 3.5″ sul cronometro. Lo spettro di Timothy Mark Thomas, per gli amici Tim, aleggia sullo STAPLES Center. Odom è incaricato di rimettere, la difesa di Hill è competente e nega una facile passaggio al Mamba, che riceve e si alza subito per concludere. Non c’è lo sdeng, ma neppure il ciuff della retina. C’è però Ronald William Artest, il più lesto a rimbalzo e autore del putback vincente.

Con il duplice errore di qualche possesso prima, il box score di Artest riporta 1/8 alla voce tiri dal campo. Nel possesso finale Ron spazza via Richardson e i malumori di Jackson. L’abbraccio tra i numeri 24 e 37 è uno dei momenti più belli della stagione dei Lakers.

Ho disputato un brutto primo tempo, poi sono entrato un po’ alla volta in partita. Ho recuperato qualche pallone e catturato dei rimbalzi. Ero convinto che essere aggressivo avrebbe premiato e così è stato.

Ron Artest

Ha il dono innato di essere presente nelle giocate decisive.

Phil Jackson su Ron Artest

Nonostante l’errore finale, il tabellino di Bryant è comunque di tutto rispetto: 30 punti, 11 rimbalzi, 9 assist e 4 stoppate.

Nella Valley of the Sun, due giorni dopo, lo US Airways Center è colorato di arancione e l’atmosfera è rovente. La gara [Box Score] non delude le attese e nel primo quarto Bryant, Artest, Nash e Richardson preservano l’equilibrio. I Lakers allungano poco prima dell’intervallo lungo e grazie a Kobe & Ron volano sul +17. All’inizio dell’ultimo quarto, un alterco in sloveno tra Sasha Vujacic e Goran Dragic riapre la partita («L’avrei ucciso.» cit. Kobe su Sasha), grazie agli otto punti consecutivi di The Dragon. L’attacco degli angeleni è in panne e Amare Stoudemire segna sei punti per il 95-90 a sei minuti dalla sirena. Testimoni oculari raccontano di aver visto un mamba-segnale nel cielo di Phoenix, tocca a Kobe Bean Bryant.

Kobe muove il punteggio con un floater allo scadere dei 24″, seguito da un assist all’amico Fisher. Come in un concorso di tuffi, il coefficiente di difficoltà aumenta jumper dopo jumper. Bryant prima segna incurante della doppia marcatura, poi dopo aver ricevuto da fermo brucia ancora Hill con un canestro impossibile. Lo scambio tra il numero 24 e Gentry entra nella storia dei playoff. Il Mamba spiega le ali come una Fenice, il Sole più splendente in Arizona è ancora lui.

Bryant piazza il parziale che decide gara e serie. Incurante dell’ottima difesa di Grant Hill e dei puntuali raddoppi comandati da Alvin Gentry realizza tre canestri uno più bello e difficile dell’altro, cui aggiunge cinque liberi e un assist e mezzo (Odom sbaglia, ma arriva la correzione di Gasol). It’s over. Kobe, «Il tredicesimo apostolo» secondo Federico Buffa, chiude la gara con 37 punti, 4 rimbalzi, 6 assist e 2 recuperi.

Non sono canestri da tiratori, sono canestri da scorer. Queste sono giocate che può fare solo il miglior giocatore della NBA.

Steve Nash

Lo dico adesso, senza problemi: ho sempre ritenuto Kobe il migliore.

Alvin Gentry

I jumper contro Hill? Ho solo creato un po’ di separazione tra noi due.

Kobe Bryant, sorridendo

La sfida è vincere il titolo. L’unico intralcio ora sono i Boston Celtics.

Kobe Bryant, serissimo

Giuseppe e Nello hanno vivisezionato e ricostruito le Western Conference Finals del 2010 in compagnia di Andrea Bandiziol in una puntata speciale di Lakers Speaker’s Corner: Here come the Suns.

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💜💛 Lakers vs. ☘️ Celtics Ep. XII

Disclaimer: la narrazione della rivalità tra Los Angeles e Boston, così come l’analisi tecnico-tattica dei temi delle finali del 2010, meriterebbero una trattatazione più ampia, a cui LakeShow Italia sta già lavorando. Stay tuned!

I Los Angeles Lakers di Kobe, Pau e Phil raggiungono la terza finale consecutiva. Ad attenderli, i Boston Celtics dei Big-Three. La rivincita tanto attesa infine è arrivata.

Quando sono entrato la prima volta nello spogliatoio avevo un paio di scarpe verdi. Mi hanno detto: «Non le indossare mai più.», credo renda l’idea di quanto sia sentita la rivalità.

Shannon Brown, arrivato dopo le Finals del 2008

Dopo la trionfale calvacata del 2008, l’anno seguente Boston – priva di Garnett – è stata eliminata dagli Orlando Magic (poi finalisti) al secondo turno. Con il roster al completo, dopo una stagione caratterizzata da tanti alti e bassi hanno conquistato 50 vittorie in RS. Ai playoff dopo aver eliminato Miami (4-1), hanno sbattuto fuori (4-2) la Cleveland griffata LeBron & Shaq ribaltando lo 1-2 iniziale. Infine, hanno consumato la propria vendetta contro Orlando (4-2).

In due anni, tante cose sono cambiate. Se nel 2008 il favore dei pronostici era per i verdi, nel 2010 si prevede una serie equilibrata. I gialloviola hanno il fattore campo dalla loro e possono contare sulla voglia di rivalsa di Kobe & Pau.

🏆 The 2010 NBA Finals

Neppure il tempo di mettersi comodi sulla poltrona (27″ per la precisione) e Ron Artest e Paul Pierce si abracciano sotto canestro: doppio tecnico. Welcome to the Finals!

La tensione in campo è alta e si percepisce anche da casa.

Bryant e Pierce conducono i rispettivi attacchi e conquistano diversi viaggi in lunetta, Gasol e i Lakers dominano a rimbalzo. L.A. piazza il primo allungo poco prima dell’intervallo, Rajon Rondo sostiene Boston. A fine terzo quarto, i gialloviola scappano via con un parziale di 11-2 grazie al quale toccano il +20. Paul Pierce, rende meno pesante il passivo. Decisive le prove di Kobe Bryant (30 punti, 7 rimbalzi e 6 assist), Gasol e Artest [Box Score].

Il secondo atto delle Finals [Box Score] è una battaglia. L’avvio di gara è equilibrato, Bryant non trova la via del canestro ma compensa giocando a due con Gasol. Dopo l’opaca Gara 1, Allen ritrova il suo tiro e con Wallace e Pierce propizia l’allungo dei Celtics. Ray Allen (otto triple a segno, nuovo record per le Finals) nel secondo quarto segna cinque volte dalla lunga distanza, Boston vola sul +14 ma i Lakers non mollano. Kobe, in foul trouble, segna la tripla del -6 prima dell’intervallo, imitato da Artest al rientro in campo. Il match è un emozionante susseguirsi di sorpassi, controsorpassi e parità. Il Mamba completa un gioco da tre punti e subito dopo realizza il fadeaway del 90-87 con poco più di cinque minuti da giocare. Lo STAPLES intona «M-V-P! M-V-P!».

La difesa dei verdi sale ulteriormente di livello, diventa asfissiante e disarma l’attacco californiano, Rajon Rondo dirige l’orchestra che suona i padroni di casa: 11-0 di parziale che chiude la gara. Bryant segna l’illusoria tripla del -6, salvo poi perdere il pallone nel possesso seguente. Kobe chiude con 21 punti (8/20 al tiro), 5 falli e 5 perse; per Artest un pessimo 1/10 dal campo. Gasol e Bynum totalizzano buone cifre ma complessivamente perdono la sfida sotto canestro.

Abbiamo perso troppi palloni, io per primo. Poi abbiamo difeso davvero male, sbagliando troppe rotazioni e concedendo canestri facili. Dobbiamo giocare come possiamo, tutto il resto non conta.

Kobe Bryant

Un déjà-vu, come due anni prima i rivali di sempre sbancano lo STAPLES Center al secondo tentativo. Ed ora la serie si sposta nel Massachusetts e l’angeleno Paul Pierce è convinto che si tratti di un viaggio di sola andata.

Non torneremo a Los Angeles!

Paul Pierce
Pierce, cresciuto ad Inglewood, sente il dovere di rivelare la sua profezia ai tifosi dello STAPLES Center: «We ain’t coming back to L.A.!»

⚔️ Beantown Battle

A quasi due anni dal pesantissimo blowout subito in Gara 6, i Lakers tornano al TD Garden con il mezzo due successi in volata nelle gare di regular season. Win or go home, per continuare a sperare è necessario vincere almeno una delle tre gare in programma a Boston.

L’inizio di Gara 3 [Box Score] non promette bene: Kevin Garnett e Rondo doppiano i californiani, incapaci di segnare. Con l’ingresso delle second unit, i gialloviola prima ricuciono lo strappo e poi trovano l’allungo grazie al chirurgico Lamar Odom. Nella parte centrale del match, L.A. – trascinata da Bryant – vola sul +17. Con Allen e Pierce fuori ritmo, i Celtics erodono un punto dopo l’altro grazie a Glen Davis e Tony Allen, mentre l’attacco angeleno è in panne. Il -1 siglato da Rondo sembra il prologo al sorpasso.

A riavviare il motore dei Lakers è Derek Fisher, che segna quattro volte e con Odom contiene la rimonta dei padroni di casa. In post Garnett sigla due volte il -2, risponde Kobe. Allen sbaglia e Fisher, ancora lui, sorprende in transizione la difesa bostoniana: and-one per il +7. Vujacic e il Mamba (29 punti con 10/29 al tiro) mettono in ghiaccio la gara dalla lunetta.

Dopo quattro errori nel quarto, Bryant si sblocca segnando il +4. Nel possesso successivo Allen sbaglia l’ottava tripla della sua gara, Fisher cattura il rimbalzo e in contropiede, in mezzo a tre Celtic, segna e completa un iconico gioco da tre punti. Boston prova il fallo sistematico e Jackson inserisce Vujacic, non ancora sceso in campo in Gara 3. Sasha, tre anni a Udine prima di sbarcare ad L.A., riceve l’incitazione in italiano di Kobe: «Se vuoi averlo lo devi segnare ca**o, str**zo!»

Eravamo delusi per la sconfitta casalinga, ma non avevamo dubbi sulla nostra capacità di vincere qui. Se vuoi essere il migliore, devi vincere ovunque e in qualsiasi condizione.

Derek Fisher

Con il successo in Gara 3, i Lakers – oltre a riconquistare il fattore campo – dimostrano per la prima volta di aver fatto lo step mentale necessario per competere alla pari dei rivali.

Boston è con le spalle al muro e reagisce. In Gara 4 [Box Score] Bryant parte forte e segna cinque triple nei primi tre quarti e con Gasol prova a mandare KO i padroni di casa. Gli starter dei Celtics faticano ed è la 2nd unit a evitare il tracollo. Pau segna il 64-62 all’inizio dell’ultimo quarto, poi i Lakers si spengono e la panchina dei verdi fa miracoli: Glen Davis, Nate Robinson, Tony Allen e Wallace confezionano il 23-10 che chiude la gara. La fiammata finale di Kobe (33 punti con 10/22 dal campo) non serve a nulla.

Il leitmotiv di Gara 5 [Box Score] è identico alla partita precedente. Rajon Rondo e Paul Pierce spezzano l’equilibrio nel secondo quarto e Bryant, volente o nolente, si carica sulle spalle tutto l’attacco dei Lakers. I Celtics giocano uno dei quarti – il terzo – migliori di tutte le Finals: l’esecuzione offensiva è precisa come un orologio svizzero e manda in bambola Gasol e compagni, mentre nella propria metà campo la difesa guidata da Kevin Garnett è enciclopedica e tiene tutti i californiani senza il numero 24 a sette punti con 3/10 al tiro. Kobe Bryant (38 punti con 13/27) piazza 19 punti consecutivi per aprire il quarto, ma non basta. Boston mette i Campioni in carica con le spalle al muro, le speranze di repeat sembrano svanire.

Per Federico Buffa «L’idea dei Celtics è: diamo a Bryant l’idea di sentirsi da solo sull’isola e vediamo come reagisce.» Quella che Flavio Tranquillo definisce «la scarica» è un crescendo di emozioni e sentimenti. Le gesta di Kobe suscitano stupore e ammirazione per la loro bellezza e difficoltà d’esecuzione. Alla meravigla per lo show del Mamba, tuttavia si somma la preoccupazione per la sua inefficacia.

Non abbiamo difeso bene. In Gara 4 è successo nell’ultimo quarto, questa volta nel terzo. Non siamo mai riusciti a fermarli, hanno segnato canestri facili uno dopo l’altro. È dura vincere contro una squadra che difende così e tira con il 56% dal campo.

Bisogna scendere in campo e giocare. Qual è il problema? Non vedo problemi. Se devo dire qualcosa, allora non meritiamo di essere campioni. Siamo sotto 3-2, torniamo a casa nostra. Vinciamo una partita e pensiamo a quella dopo: elementare.

Kobe Bryant

È la nostra migliore gara dell’anno. Siamo in ottima posizione, abbiamo due partite a Los Angeles, ne dobbiamo solo vincere una.

Paul Pierce

🆙 The Series is not over

Al ritorno allo STAPLES Center i Lakers annullano il primo match-point con una prova superba [Box Score]. Dopo aver studiato i Celtics per metà quarto, i gialloviola trovano l’allungo sospinti dalle triple di Ron Artest e Bryant. I californiani ritrovano la difesa perduta e la produzione dalla panchina con Odom e Vujacic e toccano anche il +27. Kobe non deve fare gli straordinari (26 punti, 11 rimbalzi, 4 assist) e riceve l’atteso supporto da Pau Gasol.

Anche le ginocchia dei due centri salgono alle luci della ribalta. Dopo Gara 3 Bynum deambula a stento a causa del menisco scricchiolante ed l’ombra di sé. Perkins esce di scena dopo sei minuti di Gara 6 a causa di un infortunio al ginocchio.

Abbiamo difeso bene e siamo andati bene a rimbalzo. Adesso pensiamo a Gara 7, è una situazione di grande tensione. Ora non si tratta più di allenare, occorre scendere in campo e tirare fuori tutta l’energia di cui disponiamo.

Phil Jackson, 13 NBA Finals e alla prima Gara 7 nell’atto conclusivo della stagione

Tutto in una notte. Per la quinta volta nella storia della rivalità NBA per eccellenza, il titolo sarà assegnato in Gara 7. Il bilancio? 4-0 Celtics.

L’atto conclusivo delle Finals non delude [Box Score] ed è una sorta di epitaffio di una certa pallacanestro. Componenti come l’agonismo, la gestione dei nervi, la determinazione e la voglia di competere prevalgono sugli aspetti squisitamente tecnici. Se il palcoscenico fosse diverso, sarebbe una gara brutta (…e per certi versi lo è).

In avvio, gli angeleni provano a sfruttare invano la maggiore fisicità sotto canestro. Tante sono le seconde chance catturate, troppe quelle sprecate: Bryant, Gasol e i Lakers sbagliano praticamente tutto. Boston, sorniona, tiene botta con Sheed e KG mentre Glen Davis propizia il +9 di fine primo quarto. Artest rimette in carreggiata i gialloviola, che ristabiliscono l’equilibrio con un parziale di 11-0. Tutti i big faticano a trovare la via del canestro, tranne Paul Pierce. The Truth risponde al nemico Ron e consente ai Celtics di chiudere avanti (+6) il tempo.

Al rientro in campo Kevin Garnett e Rondo come una mareggiata travolgono i sempre più confusionari Lakers (+13), che sono tenuti a galla dalla tenacia di Lamar Odom. Kobe e Pau ritrovano per un momento il feeling con il canestro e nel finale del terzo quarto riducono le distanze: 53-57.

Il Mamba, il catalano e Artest fin qui combinano per un pessimo 29.8% dal campo, ma sono proprio i loro punti tutta grinta a ristabilire la parità: 61-61, con la difesa californiana finalmente all’altezza della situazione. I verdi rimettono la testa avanti coi liberi di Allen, ma la replica di Derek Fisher da tre è immediata. Notoriamente lo STAPLES Center non è tra le arene calde della NBA, ma col rientro dei Lakers i decibel aumentano.

Kobe Bryant segna un fadeaway, lotta come un leone a rimbalzo e realizza tre liberi, Boston è ancora viva e risponde con KG e Pierce. La spallata che sembra decisiva arriva da Pau Gasol, che prima stoppa PP e poi segna dal post contro tre avversari il canestro del +6 a 1:30 dalla sirena dopo il quale può lasciarsi andare in un’esultanza liberatoria tornando in panchina.

Novanta secondi nel basket sono un’eternità e nella fattispecie sono lunghi ed emozionanti. Al rientro dal timeout Rasheed Wallace dimezza lo svantaggio, sul ribaltamento Ron Artest segna una tripla senza senso ma non è finita: Ray Allen si unisce a Three Point Shootout. Il Mamba sbaglia da tre, ma grazie al rimbalzo di Gasol torna in lunetta. Dopo l’errore di Allen, Rajon Rondo zittisce tutti per un attimo prima che Sasha Vujacic chiuda la serie dalla linea della carità.

La corsa sulla sirena è l’affrancamento di Bryant da un peso che lo tormenta dal 2008, così come l’esultanza verso i tifosi è il consacrazione di un rapporto recuperato. La gioia condivisa con i compagni, la prova della completa maturazione.

I Lakers conquistano il sedicesimo titolo della loro storia, quinto anello per Bryant (28.6 punti col 40.5% dal campo, 8 rimbalzi, 2.9 assist e 2.1 recuperi), che riceve dalle mani di Bill Russell il secondo NBA Finals Most Valuable Player Award consecutivo [Series Stats].

Non ci posso credere. Questo è di gran lunga il successo più dolce, perché abbiamo vinto contro di loro. È stato anche il più difficile.

Lo volevo così tanto, ma a volte capita che quando desideri troppo qualcosa, ti sfugge. Sono grato ai miei compagni, ci hanno riportato in partita e hanno reso questo possibile.

Non potevamo passare alla storia come la squadra che ha perso due volte contro i Celtics.

Kobe Bryant

Ne ho appena vinto uno in più di Shaq, prendi porta a casa. Sapete come sono fatto, non dimentico nulla.

Kobe Bryant su cosa significhi per lui il quinto anello

La maledizione è spezzata, Kobe e compagni sono riusciti nell’impresa sfuggita più volte a Elgin Baylor, Jerry West, Wilt Chamberlain, Magic Johnson, Kareem Abdul-Jabbar e James Worthy.

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🖤 Kobe Bryant’s Legacy

Oltre al succeso sportivo, con il titolo conquistato Kobe Bryant completa il percorso personale di redenzione, che la settima partita delle Finals 2010 riassume corettamente.

Non ho mai visto Kobe così felice come in Gara 7. Non dimenticherò mai quando, dopo aver ricevuto il pallone da Lamar Odom, ha corso verso l’altro canestro. Era in estasi.

Mike Bresnahan

Un avvio difficile, un po’ testardo e persino presuntuoso, come nei primi anni della sua carriera. Una sfida a singolar tenzone contro il collettivo dei Celtics, senza fidarsi dei compagni analogamente agli anni del post Shaq. Con l’ombra del fallimento all’orizzionte, la maturazione e il raggiungimento del traguardo tanto agognato con l’aiuto della squadra.

Quei Gasol (Thunder), Artest (Suns), Fisher (Gara 3) e compagni, senza i quali probabilmente avrebbe più titoli di miglior scorer che anelli. Un trionfo che è un tributo alla determinazione con cui il Mamba ha affrontato il fallimento e della sua capacità di cambiare.

Di mutare, cambiare pelle, come tante volte fatto nel corso della sua carriera, dentro e fuori da campo. E chissà quante altre sorprese ci avrebbe riservato il proseguo della sua nuova vita lontano dal campo, se non fosse arrivata quella maledetta Domenica mattina del 26 Gennaio 2020.

Dear Kobe… We’ll miss you.

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Raccontare le gesta sul parquet di Kobe Bryant non è semplice. Impossibile scegliere le giocate più belle, più importanti o più decisive. Con indosso la canotta gialloviola numero 8 prima e 24 poi, The Black Mamba ha conquistato cinque titoli NBA, due premi di MVP delle NBA Finals, uno della regular season, due medaglie d’oro olimpiche, 18 convocazioni all’All-Star Game (con quattro MVP della partita) e collezionato una serie di giocate, record e prestazioni che rimarranno per sempre nelle memorie degli appassionati

La crew di LakeShow Italia ha deciso di ripercorrere la carriera della leggenda dei Los Angeles Lakers attraverso ventiquattro Mamba Moments, per un countdown tra i momenti più significativi di una carriera come pochissime nella storia del basket.


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