Disclaimer: chi vi scrive non è mai stato un grande fan di Carmelo Anthony. Shot selection rivedibile, usage alto e palla ferma hanno contraddistinto la maggior parte della carriera del newyorchese.
Le due annate a Oklahoma City e Houston sembravano il suo canto del cigno: a Novembre 2018, dopo aver segnato 2 punti alla decima presenza in maglia Rockets, sparisce dalle rotazioni e vieni poi scambiato a Chicago. Neppure dieci giorni dopo i Bulls lo tagliano.
Un anno di esilio e poi la firma con Portland. Tante domande, tanti dubbi sul fit. Nonostante questo però Melo riesce a dimostrare di non essere del tutto finito e mette su due buone stagioni con la maglia dei Trail Blazers.
Se stessi leggendo quest’articolo la domanda ora sarebbe: “Definisci buone stagioni”. Concordo, c’è bisogno di chiarire.
Le statistiche citate, se non altrimenti specificato, sono tratte da Synergy Sports™ (SS), Cleaning The Glass (CTG), NBA Advanced Stats (NBA) e Basketball Reference (BR). Tutte le clip video, salvo diversa indicazione, sono di proprietà della NBA. Sono utilizzate a scopo divulgativo senza intenzione di infrangere copyright. © NBA Media Ventures, LLC.
A new era for Melo
Il Carmelo Anthony visto in Oregon non è il giocatore descritto nelle prime righe di quest’articolo.
La prima stagione di Melo a Portland è abbastanza strana. Gioca oltre 30 minuti a partita partendo in quintetto, poi la pausa per il COVID ed infine l’uscita al primo turno dei playoff nella bolla per mano dei Lakers. Le performance in postseason dell’ex Syracuse sono disastrose: -20 di Net Rating complessivo.
Nell’annata appena trascorsa Terry Stotts usa Anthony diversamente. Partendo dalla panchina Carmelo veste due cappelli: quando è in campo con Damian Lillard e C.J. McCollum gioca sostanzialmente solo spot-up; quando invece non è schierato con i Big l’ex Knicks ha campo libero per essere il go-to-guy momentaneo.
Il risultato è che nella sua seconda stagione con Rip City i suoi possessi in post-up scendono a vantaggio di quelli in spot-up ed isolamento. I numeri in sé non sono indicativi ma lo è il trend: Melo potrebbe aver acquisito il giusto mindset per avere un fine di carriera da role player.
Banana Bench
«You’re going 16 years, 17 years and you’re the guy on the team, and you’re the star and then all of a sudden somebody’s like, ‘Listen, come off the bench,’ you know, I had to swallow that ego, I had to swallow their pride, but I also had to use that ego and that pride to keep me on edge and keep me motivated.»
Carmelo Anthony sul suo nuovo ruolo nella NBA
In questa dichiarazione Melo sintetizza il processo che ha affrontato a Portland. L’espressione «swallow that ego» rende l’idea di come non sia automatico per un giocatore del suo calibro capire quando passare dall’essere una stella ad un giocatore di contorno.
Durante la presentazione dei nuovi arrivati abbiamo sottolineato come la capacità di spaziare il campo ed essere pronti sui drive-and-kick di LeBron James e Russell Westbrook sarà fondamentale.
La sua meccanica e il suo rilascio naturali rendono Melo un giocatore potenzialmente devastante in queste situazioni. Nelle ultime due stagioni a Portland ha segnato 1.17 e 1.03 punti per possesso in spot-up. Anche in maglia gialloviola il contributo atteso è sostanzialmente questo, specie in una squadra con così tanti creatori primari.
Allargando il campo di valutazione e riducendo il livello di dettaglio, è ovvio che il numero più importante da considerare per i californiani è la percentuale da tre. Nella scorsa stagione, secondo Cleaning the Glass, Melo ha tirato con il 41% dalla lunga distanza. Un dato incoraggiante che rappresenta anche il motivo tecnico principale per cui l’amico di LeBron è atterrato ad El Segundo.
Un aspetto su cui ero dubbioso prima di iniziare l’analisi per quest’articolo riguardava il possibile adattamento di Anthony alla tanta transizione che presumibilmente i Lakers proveranno a fare.
Defense, Absence.
Per ogni giocatore presentato abbiamo provato a trovare dei numeri, delle situazioni per capire che cosa potesse portare nella nostra metà campo. Con Carmelo Anthony questo esercizio è difficilissimo.
Le due situazioni in cui è stato coinvolto di più lo scorso anno sono state la difesa spot-up e la difesa del pick-and-roll sia da difensore del bloccante che del palleggiatore; il 27%ile nelle situazioni spot-up è il suo parametro migliore. Come direbbe un mio famoso paesano: ho detto tutto.
Two shift man
La prima domanda che mi sono fatto quando ho letto dell’acquisizione di Anthony è stata: come lo usiamo?
Being-Vogel per un secondo io proverei a “tastare il polso di Melo” il prima possibile; due shift: uno nel primo quarto ed uno nel terzo dovrebbero essere la base da cui partire.
Nonostante la transizione avvenuta da star ad ottavo uomo che esce dalla panca, Melo può ancora – nella serata giusta – guidare un attacco per qualche minuto. Idealmente il primo shift, magari verso la fine del primo quarto, può essere la cartina tornasole della serata del sopravvissuto alla “pharmacy” di Baltimora; Vogel dovrà essere bravo a leggere quei minuti e capire quando allungare e/o aumentare gli shift residui di Melo e quando – invece – dimenticarlo in fondo alla panca.
Concludendo: non mi aspetto molto dall’acquisizione di Carmelo Anthony. Credo possa essere un buon giocatore di rotazione con un utilizzo da 15 minuti a sera, magari confermando il 40% da tre e punendo gli aiuti su Bron o West o i raddoppi su Davis. Se dovessi mettere degli occhiali da “ottimista” spero che Melo possa avere qualche serata di regular season in cui diventa la terza bocca di fuoco permettendo alle nostre star di riposare.
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Ingegnere, partenopeo disperso tra le Alpi svizzere, world traveler. Ho cominciato con Clyde Drexler per finire ai Lakers. Everything in its right place, no?