Non è questo il caso di dire che certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Primo, perché quello tra Dwight Howard e i Los Angeles Lakers non è un vero e proprio amore (o perlomeno non lo è sempre stato), secondo, perché i giri stanno iniziando a diventare piuttosto brevi. Quel che è certo, è che il terzo stint dell’ex Superman in gialloviola inizia in modo abbastanza sommesso.
«Love for this city. Love for the team. And just the opportunity to win.»
«I think we have some unbelievable talent on this roster and I think we have the opportunity to do something really great here again and I’m looking forward to just coming in and being myself.»
Quella di Howard è stata una scelta abbastanza obbligata per entrambe le parti. Da un lato i Lakers, che dopo la trade che ha riportato a Los Angeles Russell Westbrook (angeleno ed ex UCLA), hanno deciso di firmare solo free agent al minimo. In quest’ottica, puntare nuovamente su Diwght può avere un senso, visto che l’ex All-Star conosce l’ambiente e lo spogliatoio, e da questi è benvoluto.
Dall’altro lato c’è lo stesso Howard che, dopo un anno piuttosto sottotono ai 76ers, aveva tutto l’interesse a ritornare là dove un anno e mezzo prima aveva alzato il Larry O’Brien Trophy. Per Dwight, che a dicembre compirà 36 anni, questa potrebbe essere l’ultima chance in carriera per vincere un altro anello, e sarebbe stato illogico da parte sua precludersi questa possibilità.

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Rollercoaster
Le ultime stagioni di Howard sono state senza dubbio caratterizzate da alti e bassi piuttosto lampanti, con evidenti picchi in entrambi i sensi. Dopo i tre anni in maglia Rockets, il nativo di Atlanta ha infatti cambiato cinque squadre in cinque anni, non riuscendo mai ad accasarsi stabilmente in una franchigia.
Dapprima, è ritornato nella sua città natale dove, seppur a 31 anni ed in fase calante, è riuscito a mettere insieme una doppia doppia di media (13.5 ppg, 12.7 rpg). In estate viene scambiato agli Hornets, dove confermerà la doppia doppia di media (16.6 ppg, 12.5 rpg) e dove il 21 marzo 2018 diventerà il giocatore più anziano della storia a registrare una doppia doppia da 30+30 in singola partita (32 punti e 30 rimbalzi contro i Nets). Non solo, alla fine dell’anno Howard sarà terzo in NBA per media rimbalzi, quarto per doppie doppie (53, record all-time per gli Hornets) e nono per stoppate a partita (1.62).
Tutto ciò non basta per la riconferma, e in estate Howard firma un biennale con Washington. Qui giocherà solo nove partite, a causa di un’operazione alla schiena che lo terrà fuori per quasi tutta la stagione e che sancirà definitivamente il suo declino. Scambiato in estate con i Memphis Grizzlies e tagliato dalla franchigia del Tennessee, Howard ritornerà ai Lakers, dopo la negativa esperienza in giallo-viola del 2012/13.
Qui inizia una nuova carriera per Dwight. Fino ad allora, nelle 1044 partite disputate in carriera in regular season e nelle 95 disputate ai playoff, era sempre partito titolare. Dal 2019/20, Howard partirà titolare in 8 partite su 138 in regular season e in 7 su 30 ai playoff. Sia ai Lakers nell’anno del titolo, che a Philadelphia l’anno scorso, Howard diventa definitivamente un semplice giocatore di rotazione.
Non deve quindi stupire che da due anni a questa parte Howard stia facendo registrare i minimi in carriera per minuti giocati, punti e rimbalzi senza mai riuscire ad andare in doppia cifra di media in nessuna voce.
I vecchi (nuovi) compiti offensivi
Cosa aspettarsi, dunque, dalla terza versione di Howard in giallo-viola? Sicuramente gli verrà chiesto di replicare quanto fatto nell’anno del titolo, ovvero garantire rim protection, rimbalzi e punti facili nei pressi del ferro. D’altro canto, la nuova strutturazione dei Lakers renderà questi compiti più complicati.
Offensivamente, nell’anno del titolo, Howard ha fatto registrare le più alte percentuali in carriera per 2P% (73,2) ed eFG% (73,5%). Semplicemente raccoglieva alley-oop e rimbalzi offensivi godendo di una buona libertà perché le difese collassavano inevitabilmente su LeBron e Anthony Davis.
Questo tipo di situazione potrebbe cambiare quest’anno, per due motivi. Il primo è che sia LeBron James che Anthony Davis godranno di un minutaggio ridotto in regular season. Il secondo è connesso alla disponibilità di AD a giocare da 5. Se, infatti, il duo giocherà meno, le situazioni sopra descritte rischiano di diminuire. Inoltre, se Davis accetterà (come sembra) di giocare più da 5, allora Howard sarà spesso in campo con la second unit, che non gli garantirà le stesse libertà.
La speranza è che la massiccia presenza di Westbrook possa sopperire al load management a cui saranno sottoposti James e Davis. Non va dimenticato che Russell ha smazzato 1647 assist al ferro negli ultimi cinque anni, secondo solo ad Harden. Se l’intesa con Howard decollasse, potremmo essere di fronte ad una soluzione di gioco offensiva molto interessante ed in continuità con i principi dettati nell’anno del titolo.
Ancora difensiva
È però difensivamente che a Dwight verrà chiesto l’apporto più consistente. Nella cavalcata al titolo, Howard si era dimostrato un’ottima ancora difensiva ed un rim protector ancora di livello nonostante l’età e l’infortunio alla schiena. Anche qui, le differenze tra i due roster potrebbero complicargli il compito.
Nelle clip, il penetratore avversario incontrava Howard o McGee (o Davis quando giocava da 5) che oscuravano la vallata. Senza Schröder, Caruso e KCP, la difesa sugli esterni dei Lakers sembra notevolmente peggiorata. Questo renderà verosimilmente più difficile il lavoro dei lunghi, che dovranno gestire e leggere le penetrazioni avversarie senza la “guida” dei difensori sul perimetro.
Working class (ex) hero
È ormai evidente che il Dwight Howard del 2021 sia un giocatore di rotazione e poco più. A quasi 36 anni, con il chilometraggio in continua crescita, sarebbe oggettivamente utopistico chiedergli di più. Non va mai dimenticato però, che si sta parlando di un tre volte difensore dell’anno, cinque volte miglior rimbalzista e due miglior stoppatore NBA. Nonché, di un cinque volte All-NBA First Team, otto volte All-Star e futuro hall of famer.
Un giocatore di questa portata, seppur acciaccato ed avanti con gli anni, continuerà sempre ad avere certi istinti, come dimostrato nella bolla di Orlando. Ad Howard vanno inoltre riconosciute l’intelligenza e l’umiltà nell’aver accettato un nuovo ruolo da comprimario, con il quale sta riuscendo ad avere una seconda carriera che nessuno si aspettava.
Quando Anthony Davis riposerà (o non giocherà da 5), Howard dovrà dividere i minuti con DeAndre Jordan. Quella dell’ex-Clippers è stata l’ultima firma in ordine temporale, che va a completare un reparto lunghi molto simile a quello della bolla (al suo posto c’era JaVale McGee). Jordan ha giocato per più di 20 minuti a partita nei due anni a Brooklyn, pur non mettendo mai piede sul parquet nei Playoff, mentre il minutaggio di Dwight nelle ultime due stagioni è sempre orbitato intorno ai 17-18 minuti a partita.
Essendo Jordan un “doppione” di Howard, l’equilibrio nelle rotazioni potrebbe essere più rigido e scientifico rispetto a quanto sarebbe accaduto con Gasol. Con il catalano a roster, Vogel avrebbe potuto schierare i suoi lunghi in base alle necessità dettate dal momento della partita e dalle caratteristiche dell’avversario.
Verosimilmente, i due centri si divideranno i minuti in modo abbastanza equo, garantendo costantemente rim protection e altissime percentuali al ferro. Dwight dovrebbe iniziare la stagione con i gradi di titolare, ma non è escluso (anche per motivi fisici) che durante l’anno le gerarchie possano mutare.

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Classe 1993, giusto in tempo per vedere i Lakers di Shaq e Kobe. Da lì nasce un amore incrollabile per l’NBA e i Gialloviola. Lavoro, studio e scrivo. Nel tempo libero cerco di capire cosa sia passato nella testa di Ron prima di prendere QUEL tiro.