In copertina: Harrison Faigen (Facebook)

In una delle ultime puntate di Lakers Speaker’s Corner abbiamo avuto il piacere di intervistare Harrison Faigen, direttore responsabile di Silver Screen and Roll, nonché uno dei beat writer più conosciuti dei Los Angeles Lakers.

Vi riportiamo la traduzione della chiacchierata che hanno fatto con lui Nello e Luca, soprattutto per chi non ha avuto l’opportunità di ascoltare l’episodio del podcast in inglese. Buona lettura!

La squadra più odiata

(Nello) I Los Angeles Lakers sono reduci da una grande vittoria contro una rivale storica come i Boston Celtics. Pensi che questa gara e i miglioramenti visti nella metà campo difensiva possano rappresentare una svolta per la stagione?

«Quest’anno ogni volta che i Lakers vincono una bella partita pensiamo possa essere finalmente un punto di svolta e poi…. si rendono protagonisti di prestazioni indifendibili come quella contro i Thunder.»

«Sembra quasi che si divertano a giocare con le nostre emozioni. Arrivati a questo punto credo che solo una striscia di dieci vittorie consecutive possa restituirmi la fiducia in questa squadra, perché troppe volte quest’anno siamo rimasti scottati.»

(Nello) Assolutamente d’accordo. Ci sono però alcune scelte strategiche, come quella di cambiare di più in difesa, che mi fanno sperare si possa costruire qualcosa a partire da questa vittoria e magari iniziare quella striscia di dieci successi consecutivi che auspicavi, magari però dalla prossima settimana…

«Già, perché questa settimana giochiamo contro quel mostro imbattibile degli Oklahoma City Thunder…»

(Luca) Vi ricordate gli Charlotte Bobcats

«Assolutamente, adesso mi hai dimostrato di essere un vero tifoso dei Los Angeles Lakers. Charlotte era una squadra orribile, ma contro quei Lakers di Kobe e Gasol diventavano invincibili.»

(Nello) Visto che abbiamo appena parlato dei Celtics, qual è la rivalità cestistica che senti di più? Spurs, Celtics, Suns?

«Per me, che sono cresciuto nella California del Sud, la squadra che ho odiato di più sono i San Antonio Spurs perché nei primi anni duemila Lakers e Spurs si affrontavano ai playoff quasi ogni anno. Poi dal 2008 in avanti la rivalità più sentita è diventata quella contro i Celtics.»

«Molte persone provano a trasformare quella con i Clippers in una rivalità cittadina e sicuramente le due squadre non si amano a vicenda, ma penso che ogni tifoso Lakers abbia un ricordo legato ad una serie playoff contro gli Spurs o i Celtics. Queste sono le vere rivalità.»

(Luca) Ne approfitto per farti una domanda sui Clippers: qual è l’atmosfera in città attorno a questa rivalità? In Italia, ad esempio, le tifoserie delle squadre della stessa città si odiano moltissimo. Penso a Bologna nel basket o a Torino nel calcio. E soprattutto ti chiedo: ci sono tifosi dei Clippers a Los Angeles? 

«Hai colto nel segno, anche se in realtà qualche tifoso dei Clippers c’è ad L.A, semplicemente sono molto pochi. Per questo ogni volta che i Lakers sono “ospiti” dei Clippers il loro starting five viene fischiato.»

«Alla fine sanno di essere una piccola minoranza, anzi per certi aspetti è proprio questo il motivo per cui alcuni scelgono di tifare Clippers rispetto ai Lakers. Sicuramente c’è un po’ di sano odio sportivo tra le due parti, io stesso ho molti amici tifosi dei Clippers e ci scambiamo messaggi di sfottò quando una delle due squadre perde una brutta partita.»

«Da quando è arrivato Kawhi sicuramente è diventata una rivalità più sentita soprattutto sui social. Ma ancora oggi, quando guidi tra le strade di Los Angeles, ti capita di vedere bandiere e banner dei Lakers, mentre quelli dei Clippers sono inesistenti.»

Il peso specifico di LeBron James e il “Caruso gate”

(NELLO) Durante la settimana abbiamo avuto Marco Crespi come ospite, ex scout NBA per i Phoenix Suns (nonché voce Sky, ndr). Parlando di LeBron James, ha raccontato che al tempo di Cleveland David Griffin, oggi GM dei Pelicans, aveva una visione distorta del Re, in quanto «Era talmente condizionato dal punto di vista nervoso che gli toglieva il piacere di vedere quanto grande e quanto bello da vedere fosse». Come ci si sente a lavorare accanto a lui così da vicino?

«Penso di aver compreso ciò che intendeva Griffin. LeBron è il più grande giocatore che abbia mai visto, è incredibile. Nessuno può negare che sia uno dei migliori di sempre; non solo: averlo è un vantaggio, anche se capisco che a volte l’alto livello competitivo possa portare a stare in pensiero con lui accanto.»

«A volte si fa sentire in partita e si potrebbe pensare che lo faccia perché non gli piace l’allenatore, ti salgono molti dubbi e ti fai molte domande riguardo al suo stato d’animo. Ha una marcia in più, sa cogliere i momenti giusti per impattare e vincere nel corso della stagione.»

«Anche nella “Regular Season mode” è un grande giocatore, ma in ogni caso si nota anche dalla TV se il suo ritmo è alto o se si sta contenendo. Per esempio nelle partite più importanti di stagione regolare o nei “Win or go home” ai Playoffs.»

(LUCA) LeBron è uno di quei giocatori che non si apprezzano guardando solo il box score. Magari segna 25 punti con 6 rimbalzi e 6 assist, dominando dall’inizio alla fine, oppure fa lo stesso senza però impattare e mostrare la sua miglior versione. Si vede che a volte gioca come uno dei più grandi, mente a volte preferisce rallentare e ricaricarsi per i match successivi.

«È uno dei più grandi “manipolatori” mai visti nel basket, in senso positivo: riesce ad avere ottime statistiche anche senza avere grande impatto, e non si ferma a riempire il box score.»

(LUCA) Abbiamo la sensazione che fisicamente, anche a causa di alcuni infortuni, sembri faticare a volte. Cosa ne pensi del suo stato di forma?

«Hai completamente ragione. La vera domanda riguarda il modo in cui gestirlo nel corso della stagione. Non ha mai attaccato così poco il ferro, anche se fortunatamente il suo tiro da fuori diventa sempre migliore. Servirà più presenza in penetrazione, il che richiede ovviamente maggiori sforzi fisici, e credo che ai Playoffs ci accontenterà. Ha 37 anni, bisogna considerarlo, la questione della sua gestione è forse più delicata di quella del record in stagione.»

(NELLO) Dal primo giorno, siamo sempre stati sul carro di un giocatore che James ha considerato un grande compagno di squadra, soprattutto nel corso dei Playoffs 2020. Parliamo di Alex Caruso: abbiamo analizzato la scelta di non rifirmarlo da parte dei Lakers, dal punto di vista tecnico (dunque osservando la complementarità che aveva con LeBron e la sua presenza difensiva), ma soprattutto da quello della famiglia Buss, forse non pronta a questo ulteriore sforzo finanziario.

«Di certo non è piaciuto ai tifosi, ovviamente. Chicago ha fatto un grande sforzo assicurandosi un giocatore da molti ingiustamente sottovalutato. È uno dei migliori 10 difensori perimetrali ad oggi, ha un grande valore e merita quel contratto.»

«Capisco il pensiero della proprietà, ma mi dispiace perché sarebbe stato (oltre che un ottimo giocatore) un potenziale asset importante per imbastire trade di un certo tipo. Ora, non a caso, i Lakers sono alla ricerca di qualcosa in più nel trade market. Parliamo comunque della seconda franchigia con più valore in NBA (dopo i Knicks, ndr), ma ci sono molte squadre che spendono di più in luxury tax.»

«I Buss hanno come scopo quello di conseguire profitti, e lo si può capire, ma il punto di vista critico dei fan delusi è in ogni caso ragionevole. In conclusione, penso che avrebbero dovuto rifirmarlo, ma non credo che avrebbe risolto tutti i problemi del roster attuale.»

Cosa dobbiamo aspettarci dalla trade deadline

(Luca): In precedenza hai menzionato la possibilità di fare qualche cambio al roster. Che cosa vorresti che i Lakers facessero alla deadline via trade o tramite il mercato dei buyout per migliorare la squadra?

«Sarà difficile. Se mi avessi posto questa domanda dopo le prime tre partite dal ritorno di Talen Horton-Tucker ti avrei risposto: Certo! Possono rivoltare questa squadra via trade, THT è andato alla grande e anche se non ha giocato un minuto in maglia Lakers il salario di Kendrick Nunn può essere adatto come salary filler. D’improvviso però non abbiamo molto tra le mani, viste le performance del giovane talento della Klutch Sports.»

«Non so come la vedete voi, ma io credo che questo team necessiti di qualcosa nel reparto ali. Quasi mi spingerei a dire che i Lakers sono ad un’ala dall’avere realmente senso. Trevor Ariza può essere il tassello mancante ma mi sentirei molto meglio con un’altra wing a roster. Il problema è che le ali non sono cosi facili da ottenere nella NBA attuale.»

«In merito a THT penso che sia stato meglio di come la critica lo ha dipinto ultimamente; contro i Celtics mi è sembrato solido difensivamente. Ovviamente è in difficoltà dal punto di vista offensivo: sta tirando male ed in generale sembra indietro rispetto alle aspettative dei più in relazione al suo ruolo nei Lakers a questo punto della stagione.»

«Le opzioni possibili per mettere in piedi una trade, al netto delle considerazioni fatte su Talen sono relativamente limitate. Mancano i contratti tradabili ed altri asset. Siamo limitati al fatto che un team possa considerare interessante il pacchetto composto da un infortunato Nunn ed un THT con potenziale ma che ha giocato una stagione mediocre fino ad ora.»

«Ho sentito molti parlare di Jerami Grant in ottica Lakers, potrebbe essere un nome realistico perché non ha molto senso a Detroit in relazione all’obiettivo di ricostruzione che è chiarissimo. La situazione salariale dell’ex-Nuggets è fattibile, cosi come le caratteristiche tecniche sono giuste.»

«La domanda da porsi però è quella che ho abbozzato prima: Detroit è cosi una grande fan di THT per dare indietro il loro migliore giocatore? Lo dubito. Questa difficoltà nell’assemblare pacchetti “interessanti” è una diretta conseguenza delle scelte estive. Il gruppo composto da stelle e minimi sostanzialmente riduce a zero le opzioni di trade possibili.»

«Il rovescio della medaglia è che se Horton-Tucker stesse funzionando dubito che i Lakers lo considererebbero come un asset tradabile.»

Al netto delle considerazioni su pro e contro della cessione di THT e su quanto realistica possa essere una trade che lo coinvolga, Harrison Faigen vede nel mercato dei buyout l’opzione più verosimile per cercare di migliorare il roster gialloviola:

«L’integrazione del roster, previo taglio di giocatori sacrificabili come DeAndre Jordan, è molto più semplice via buyout. Due anni fa abbiamo aggiunto Markief Morris, Waiters e JR Smith con Kieff che è risultato importante in alcuni momenti della stagione regolare e dei playoff.»

«Lo scorso anno Andre Drummond non ha funzionato benissimo ma io credo da quando alla guida c’è Pelinka l’idea sia chiara: siamo L.A. un buon giocatore da portare ad El Segundo lo troviamo.»

«Per un giocatore tagliato è un rischio calcolato venire ad L.A. Un buyout che arriva in un team come i Lakers attuali e funziona può essere visto come una soluzione, e questo gli garantirà un contratto migliore in seguito.»

«Il nome più facile da tirar fuori è Kevin Love, ma in generale sappiamo che quando si comincerà con i tagli molti giocatori saranno linkati ai Lakers. Al momento però è difficile capire chi verrà rilasciato, lo stesso Love ora gioca minuti importanti in dei Cavs che funzionano bene. In generale non so neanche, al netto di quelli che siamo, quanto possiamo fidarci di un giocatore arrivato da un buyout, Kieff è stato utile ma non è stato la ragione per la quale abbiamo vinto il titolo.»

(Nello) Abbiamo parlato spesso di quello che io considero il peccato originale di questo roster, l’assenza di “size” nel reparto ali. Ad essere onesti, per me non è stata neanche una questione di qualità di chi si sarebbe potuto portare in squadra, ma di reale mancanza numerica.

Anche l’Ennis che si è allenato inizialmente con noi sarebbe stato più utile di Bradley o di un perennemente panchinato Rondo. Il punto per me è il seguente: senza una certa fisicità sulle ali è difficile per Frank mettere in piedi una difesa consistente:

«Assolutamente! Non importa chi sieda in panchina, nella NBA attuale per difendere hai bisogno di ali.»

(Nello) E dobbiamo anche ringraziare di non vedere più le lineup con quattro guardie ed un big! La realtà è che mancano quegli elementi per avere le lineup “small” dove Davis agisce da cinque. LeBron ed un’altra ala sui 2 metri ci avrebbero permesso di avere abbastanza fisicità per non andare sotto a rimbalzo, e come hai detto tu in passato abbiamo avuto Kieff, un minimo, per questo.

«Markieff avrebbe aiutato molto questo team, capisco perché e andato via ma in generale sarebbe servito.»

«Hai centrato il punto. Abbiamo dei centri, tante guardie ma ci manca quel livello di mezzo dove si spera che Ariza sia abbastanza sano da poter colmare questa lacuna, e questo diverge da quanto si è visto in questi ultimi anni.»

Harrison Faigen: being a reporter in L.A.

Luca: Ci piacerebbe ora farti qualche domanda in più in merito al tuo lavoro. Ultimamente molti si sono lamentati di Bradley sui social e tu hai fatto una domanda a Vogel in merito. Ci puoi descrivere un po’ come è questa parte di “raccordo” del tuo lavoro tra fatti e fanbase?

«Nell’ultimo anno io sono passato ad un ruolo più editoriale, quindi ci sono altri miei colleghi che si occupano di fare domande dirette. Quando facevo questo tipo di lavoro cercavo di mettere in piedi le domande per far si che la persona coinvolta non si mettesse sulla difensiva, e che potesse realmente esprimere i suoi pensieri.»

«Non puoi andare da Frank e dirgli “Bradley fa schifo”. Non sarebbe la strada giusta per capire cosa vede in Avery che non è rispecchiato dalle statistiche che tutti noi abbiamo davanti agli occhi. Quando gli abbiamo chiesto in particolare dell’ex Celtics, ponendogli una domanda “aperta” lui ci ha fatto un paio di esempi di cose che Bradley fa, e che per lui sono importanti, che non sono evidenti dal boxscore.»

«Cooper ha scritto un grande pezzo in merito spiegando che Avery oltre ad essere una sorta di “porto sicuro” per Vogel è anche un “tone-setter” per gli altri. I Malik Monk del caso sanno, secondo Vogel, che per guadagnare minuti devono in qualche modo fare meglio di Bradley.»

«Alcuni allenatori considerano questi fattori di “contesto” più importanti rispetto alle analytics, che invece noi da fuori riteniamo più rilevanti. Quando parlo di contesto intendo anche elementi politici necessari a tenere in mano lo spogliatoio, pensate a Jordan ad esempio.»

«DeAndre ottiene 20 gare prima di essere panchinato totalmente proprio per questo tipo di ragionamento. Vogel ha potuto, dopo le gare concesse all’ex Clips, fargli notare come non riuscisse a fare quanto gli venisse chiesto. L’accettazione dei DNP ora è ok per Jordan, non sarebbe stato cosi se fosse stato panchinato senza possibilità di dimostrare.»

«È importante lasciare la domanda “aperta” per permettere a chi hai davanti di spaziare sui suoi pensieri e non difendere unicamente il proprio lavoro. Se non si opera in questo modo si finisce per scontrarsi; mi è capitato con Vogel e Rondo due anni fa, ha avuto ragione lui!»

(Nello) Il tuo commento su Jordan mi ha incuriosito e mi ha fatto pensare ad una domanda, anzi ad una domanda e mezza. Qual è il giocatore più interessante con cui hai interagito non chiamato Kobe o LeBron e se magari puoi lasciarci la tua interazione preferita col Black Mamba.

«Essendo cresciuto in Italia Kobe è come se fosse un membro onorario di questo podcast, giusto?»

(Nello) Certo, lo è.

«Inizio rispondendo su Kobe. Definirei “memorabile” la mia prima interazione con Kobe che era anche la mia prima volta nello spogliatoio dei Lakers in realtà.»

«Avevo ventitre anni e probabilmente l’aria del “dumbest fanboy”, non potevo credere che quel posto esistesse al di fuori dello schermo della mia TV. Era solo una partita di preseason, io ero sul logo a centrocampo, cercavo in ogni modo di non sembrare nervoso; Kobe era li a prepararsi.»

«All’improvviso sento una mano sulla spalla, “Excuse me buddy”, e vengo spostato circa a due metri sulla sinistra. Kobe, educatamente, si è fatto strada, spostandomi per fare in modo da raggiungere lo spogliatoio nel minor numero di passi possibile e con la traiettoria più diretta possibile per evitare i reporter.»

«Iniziava la sua stagione finale, gestiva ogni singolo aspetto del suo “usage”. Era come in un film, al mio primo giorno, la prima persona con cui interagisco dei Lakers è Kobe. Era il mio “Welcome to the NBA”.»

«Passando alla non star più interessante che ho seguito non può non essere Andre Ingram. Un anno prima della chiamata dei Lakers ho scritto un longform su di lui. Ingram è stato 9 anni in G League ed era, ai tempi, primo in tante classifiche all-time di quella lega.»

«Mi interessava sapere, al netto dei risultati, perché continuasse a provarci anche se dalla NBA non aveva ancora ricevuto nessuna chiamata. Abbiamo discusso del suo puro amore per il gioco, per l’arte del tiro ad esempio. Poteva fare un lavoro normale, è andato al college per fare l’Ingegnere ma lui voleva andare avanti a giocare a pallacanestro fino a che il suo corpo glielo avrebbe permesso.»

«Potenzialmente avrebbe guadagnato più soldi al di fuori del basket, ma sapeva cosa voleva. È stato incredibile vedere quanto lavoro ci fosse dietro, la sua famiglia che si spostava con lui di hotel in hotel solo per supportarlo alla caccia al suo sogno.»

«Conoscerne la storia passata rende più interessante il momento del suo esordio, credo contro i Rockets, in diretta nazionale su TNT. Un maestro di matematica che giocava per i Lakers quella notte!»


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