In copertina: Elgin Baylor nel 1962 (Bettmann, Getty Images), elaborazione grafica di Francesco Anelli

Ripercorrere la storia di Elgin Baylor non è semplice, poiché ha trovato la notorietà negli anni sessanta quando i report non erano accurati come i moderni e il materiale multimediale disponibile è scarso oltreché arcinoto. Per questo ho preferito narrare i fatti con un approccio diverso, sostenendo quanto scritto con una lunga ricerca focalizzata su pallacanestro, storia e cultura.

La speranza è che il risultato possa fornire gli elementi base necessari per ricostruire il contesto in cui Baylor è vissuto e una storia umana, che – ritengo – meriti di essere raccontata.

Seppure poche, le clip dell’epoca mostrano quanto Elgin Baylor fosse un precorritore dei tempi.

🐰 The Black Rabbit

“Strange Fruit” di Billie Holiday, eseguita nel Marzo del 1939 al Café Society di New York e prima canzone a portare in scena un chiaro messaggio contro i linciaggi subiti dagli afroamericani.

Southern trees bear strange fruit,
Blood on the leaves and blood at the root,
Black bodies swinging in the southern breeze,
Strange fruit hanging from the poplar trees.
Gli alberi del Sud portano uno strano frutto,
Sangue sulle foglie e sangue alla radice,
Corpi neri oscillano nella brezza del sud,
Strani frutti appesi agli alberi di pioppo.

La Grande Depressione del 1929 mise fine agli Anni Ruggenti. Un’epoca caratterizza da prosperità e slancio culturale lasciò il posto ad un decennio buio, che sarebbe culminato nelle follie della seconda guerra mondiale. L’interesse per le nuove tecnologie, l’arte e la musica furono soppiantate da isolazionismo, xenofobia e proibizionismo. Come in ogni angolo della terra, anche gli Stati Uniti vennero travolti dalle contraddizioni enormi degli anni trenta. Se l’arresto di Al Capone fu la premessa alla fine del Volstead Act, le restrizioni dei diritti civili su base razziale erano lungi dall’essere abrogate.

Il 1934 fu un degno rappresentante del quarto decennio del ventesimo secolo. L’Italia, ad esempio, salì alla ribalta mondiale con Luigi Pirandello – Premio Nobel per la Letteratura – e la vittoria della Coppa Rimet nelle settimane delle prime simpatie verso un ex pittore di cartoline viennese.

Nei mesi in cui la Lunga Marcia sconvolse la Cina e i primi grandi scioperi agitarono la giovane amministrazione Roosevelt, qualche settimana dopo la nascita di Donald Duck – o Paperino, de gustibus – venne alla luce Elgin Gay Baylor.

«[…] e nei loro occhi cresce il furore. Nell’anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia»

John Steinbeck, “Furore” (1939)

Contea di Caroline, Virginia. John Wesley Baylor, discendente di uno dei primi liberti della zona, conosce e contrae matrimonio con Uzziel Lewis. La donna – uzziel in ebraico significa «La mia potenza è Dio» – vanta origini slovacche e nativo-americane, un melting pot da manuale. Il 16 Settembre 1934, John attende la nascita del quinto figlio e prova a far scorrere più velocemente il tempo fissando in continuazione il quadrante del suo orologio da polso, un “Elgin“. Nome che suona elegante e regale, adatto all’ultimo arrivato.

Sospinta dalle riforme del New Deal di Franklin Delano Roosevelt e dall’incremento delle attività governative causato dallo scoppio della guerra, Washington diventa la nuova El Dorado e attrae masse di lavoratori. Nel 1943 i Baylor si trasferiscono nel District of Columbia: papà John diventa custode in una scuola di giorno e tassista di notte, mamma Ozzie trova impiego nel Dipartimento degli Interni.

La famiglia si stabilisce in Heckman Street, Southeast (l’attuale Duddington Place) a Capitol Hill, nella zona di Garfield Park. Un centro ricreativo dotato di piscine, campi da tennis, softball e basket. Un sogno per ogni adolescente del quartiere. Ogni adolescente bianco, ovviamente.

«Avevamo due playground a meno di 500 metri dalla nostra scuola, ma noi neri non potevamo utilizzarlo. La polizia chiudeva l’ingresso con catene e lucchetti, solo i ragazzi più grandi provavano ad intrufolarsi di notte, giocando con qualsiasi luce riuscissero ad ottenere.»

Elgin Baylor

L’infanzia segregata

Kermit & Sal, all’anagrafe Arthur Kerman e John Levi Baylor, sono tra gli adolescenti neri che periodicamente vengono minacciati dalla polizia, oltre ad essere sospettati di qualunque piccolo crimine avvenga nel quartiere. Durante una retata, nel 1943, i tre fratelli Baylor sono tratti in arresto e il piccolo Elg viene sottratto dalla custodia dei poliziotti solo grazie al disperato intervento della madre. Al rientro a casa, il padre può solo sperare che i figli maggiori vengano solo interrogati. Dal profondo della mente tornano a galla i racconti dei nonni sui soprusi subiti ai tempi di quella schiavitù, che sembra solo modernizzata piuttosto che abolita.

Nello stesso periodo, con la sorella Columbia partecipa a un carnevale locale. Nella calca la perde di vista e viene avvicinato da un ragazzo bianco, che si offre di dargli una mano. Il samaritano rivela la sua vera natura e con tre compagni spinge il malcapitato nella loro auto. Il nostro scorge Columbia che lo cerca disperata e istintivamente apre la portiera, si lancia dall’auto e inizia correre. L’aggressore si mette alle calcagna, Elgin corre più forte. La distanza si riduce ma il terrore lo spinge ad aumentare la velocità. Sempre di più. Quando si volta, con cuore in gola e provato dalla fatica, l’inseguitore è paonazzo e stremato. Elgin si è guadagnato il soprannome di Rabbit.

Un paio di anni dopo, nel 1945, stava rientrando a casa dopo la scuola con la sorella. Una ragazza bianca dopo un’eloquente «Negra» sputa addosso a Columbia, allora tredicenne, che reagisce schiaffeggiandola. Subito dopo la polizia bussa a casa Baylor con un mandato di arresto per aggressione. Le suppliche di non procedere di John – ripetutamente apostrofato con il dispregiativo ‘Boy’ – vengono accolte dai poliziotti, a condizione che la ragazza venga punita a dovere. Immediatamente. Magari con una cinghia di cuoio. Un drammatico avvenimento che segna per sempre l’adorata Fox e compromette il rapporto tra padre e figlio, che non comprende la condiscendenza del genitore.

«Avevamo tutti paura. Una volta un ragazzo venne prelevato dai poliziotti e scomparve. Nessuno l’ha più visto.»

Elgin Baylor

La rivoluzione di Elgin: il jump shot

Tra gli intrepidi che popolano di notte Garfield Park ci sono anche Kermit e Sal. I due – rispettivamente alti 205 e 200 centimetri – eccellono in qualunque sport e contagiano Elgin. L’esordio del piccolo Rabbit avviene sul campo dei bianchi, con una palla da tennis e sotto le tenue luce dei lampioni stradali. I fratelloni giocano duro e non fanno sconti al novellino: spinte, falli duri e stoppate a ripetizione. Ma i conigli sanno correre e saltare, così notte dopo notte il gap si assottiglia sempre più. Il punto di svolta arriva quando un amico arriva con una palla da volley che qualche giorno dopo potrà essere utilizzata nel primo canestro dello sgangherato campo dei neri. Elgin e il basket diventano una cosa sola.

Giunge il momento di entrare in un team vero, il Southwest Boys Club, dove Elgin compie il primo passo significativo nel suo percorso di innovazione del gioco. A quei tempi tutti tirano con due mani, scagliando la palla dal basso verso l’altro o da sopra la testa. Ma per Baylor non è un movimento naturale, si sente a disagio e inefficiente. Per cui inizia a tentare la conclusione con una mano sola, rendendo continua la sequenza “palleggio, arresto e tiro”. Da ogni posizione, con o senza avversari, jumper dopo jumper il movimento raggiunge la perfezione.

Nel 1948 Elgin sbaraglia la concorrenza in una gara di tiri liberi, non fallendo neanche una conclusione grazie alla sua tecnica innovativa. Il premio lo lascia a bocca aperta: un biglietto per una gara dei Washington Capitols, militanti nella BAA – la futura NBA – e allenati da Arnold Jacob Auerbach, noto ai più come Red.

Un sogno che diventa realtà: Rabbit, memorizza quanti più dettagli possibili e si precipita a metterli in pratica sul playground; finte di testa e di corpo, hesitation move dal palleggio, layup, uso della spalla. A Legend in the making.

Take my Money

Baylor è più rapido, atletico e talentuoso dei suoi coetanei. Brama competere contro avversari più forti. Arriva la sfida di un ragazzone grande e grosso ma povero tecnicamente. Elgin inizialmente rifiuta, anche per evitare troppi colpi proibiti. L’avversario lo stuzzica scommettendo un quarto di dollaro, declinare diventa impossibile. Elg prima lo stoppa, poi realizza undici canestri consecutivi. Easy Win. Il rivale vuole la rivincita, Baylor non vuole infierire ma l’antagonista afferma di essere il figlio di un impiegato di banca.

«Ho pensato, se la mette così… Ho vinto così tanti quarti di dollaro da poter comprare il pranzo per un mese.»

Elgin Baylor

Elgin trova finalmente sfide alla sua altezza. Gary Mays, leggendario atleta polivalente capace di eccellere in tutti gli sport – baseball soprattutto – nonostante avesse perso il braccio sinistro in adolescenza. The Bandit è un difensore arcigno, che non disdegna l’utilizzo del moncherino per intimorire l’avversario e costringe Rabbit a trovare nuove soluzioni per chiudere a canestro.

A quindici anni sfida un ragazzo più grande, che per mesi si rivela un avversario insormontabile. Baylor cresce, lo raggiunge in altezza e lo batte tre volte consecutive senza concedergli un solo canestro. Dopo averlo preso «a calci nel sedere» per mesi, il rivale non è più all’altezza di Elgin, che anela sfide più dure.

🆙 A Rabbit can hop

“We Shall Overcome” inno del movimento per i diritti civili elaborato da Pete Seeger e reso famoso da Joan Baez.

We shall overcome, we shall overcome, We shall overcome someday;
Oh, deep in my heart, I do believe, We shall overcome someday.
La spunteremo noi, la spunteremo noi, un giorno la spunteremo noi;
Oh, nel profondo del mio cuore, credo, un giorno la spunteremo noi.

Al termine della guerra, il presidente Harry S. Truman promulgò l’atto “Executive Order 9981″, che mise fine a qualsiasi forma di discriminazione razziale… nelle forze armate. Due anni dopo, gli Stati Uniti piombarono nel maccartismo. Ma qualcosa stava cambiando: Raphael Johnson Bunche vinse il Premio Nobel per la Pace, il primo afroamericano premiato nella storia. Nel 1955 l’omicidio del quattordicenne Emmett Till in Mississippi e il “Montgomery Bus Boycott” in Alabama ispirato da Rose Parks, rafforzarono i movimenti per i diritti civili.

«Quando scoprirò chi sono, sarò un uomo libero.»

Ralph Ellison, “Uomo Invisibile” (1952)

In un paese lacerato dalle contraddizioni, l’adolescente Elgin deve trovare la sua strada. Concluso il ciclo scolastico alla Joshua R. Giddings Elementary School – prima scuola per neri del Distretto, a due passi da Garfield Park – frequenta la Randall Junior High School. Il percorso scolastico e il futuro lavorativo di Baylor e dei suoi coetanei sono delineati: formazione professionale finalizzata a una carriera nell’industria manifatturiera.

Elgin approda alla Phelps Vocational High School, una piccola scuola che non dispone di una palestra e gioca in trasferta tutte le gare del circuito riservato agli studenti neri. Nei viaggi che richiedono anche quattro ore di autobus, Baylor – messe da parte le aspirazioni da pianista, cantante o insegnante – consolida le convinzioni sul suo futuro. Se per il padre il basket è una «stupidaggine», per la madre è il mezzo che potrebbe aprire al figlio le porte del college e di un futuro differente.

Un fulmine a ciel sereno

Baylor, eletto subito capitano, spazza via gli avversari con la sua pallacanestro elegante fatta di giocate abbaglianti e imprevedibili. Nel secondo anno segna 42 punti contro la Cardozo HS (record dell’area di Washington) e trascina la sua squadra fino all’atto conclusivo della competizione per studenti afroamericani. Poco più che 17enne, Elgin ormai è un nome noto in tutta Washington e dintorni.

Chiusa la stagione scolastica torna alle vecchie abitudini e cerca sfide sempre più probanti sui playground della città. Si accasa con gli Stonewalls, una squadra composta da ragazzi più grandi di lui che lavorano o frequentano il college. Per cui partecipa a match duri, nei quali si può schiacciare solo se completamente soli. Entrate nelle gambe, gomitate sul volto e colpi sulla gola forgiano l’esile fisico di Elgin.

L’intensità di queste amichevoli è tale da richiamare un nutrito pubblico, composto da altri giocatori, tifosi e… groupie. Columbia mette in guardia il fratellino, diventano ormai una celebrità. Rabbit pensa soprattutto a giocare, ma non resiste al richiamo di Barbara Arnold, due anni più grande. Qualche settimana dopo la ragazza ritorna confessando di essere incinta. Elgin, spinto dal padre, si assume le sue responsabilità e poco dopo aver compiuto 18 anni si sposa andando a vivere a casa di lei. La vita familiare è un disastro, segnata dall’assenza di rapporti con la moglie e dalle urla della suocera.

Una sera, disperato, torna alla casa paterna dove riceve un raro cenno di solidarietà dal vecchio padre John. Spinto dalla madre, Elgin decide di far trasferire la moglie dalla sorella Gladys: ha deciso, si prenderà cura del figlio, ma non è intenzionato a proseguire il matrimonio farsa. Barbara mette alla luce una bimba, mentre Elgin torna a scuola iscrivendosi per il secondo semestre alla neonata Spingarn High School.

Durante lo spring break, Simiel cerca di capire quando è avvenuto il fattaccio tra i due: ad aprile. Il cognato è un farmacista e una sua conoscente ha seguito il travaglio della moglie di Baylor. Appena sette mesi dopo quell’unico incontro, Barbara ha partorito una bimba non prematura, che non può dunque essere sua figlia. A Maggio Elgin firma le carte per l’annullamento del matrimonio, l’incubo è finito.

Una svolta storica

Al ritorno sul parquet Baylor è determinato a recuperare il tempo perduto e grazie alle battaglie dell’estate precedente il suo gioco si evolve ulteriormente. Dopo aver segnato 31 punti contro la sua ex squadra il “The Washington Post” non può ignorarlo e lo nomina Division II Player of the Week. Tuttavia, è una copertura marginale rispetto a quella dedicata a Jim Wexler – stella della Western High School, la migliore squadra della città – quando con 52 punti supera i 42 di Elgin.

Baylor è una macchina da canestri e viaggia a oltre 36 punti e 20 rimbalzi, ma non gli interessa l’essere ignorato dalla stampa, finché l’amico e futuro agente Curtis Jackson gli “ricorda” la componente razziale di tale discriminazione. Nella partita successiva, contro la sua ex scuola – la Phelps – chiude con 63 punti, il primato torna suo. Ma per il nuovo record non c’è lo stesso spazio dedicato a Jim, ma solo un trafiletto in un angolo. Baylor si consola con il trofeo di miglior giocatore dell’area, che una volta portato a casa provoca un sorriso abbozzato del padre.

Nel 1999, Wexler ricorda così quell’episodio: «Stavo leggendo il Post e vedo questo piccolo articolo, meno di dieci centimetri, dedicati al nuovo record di Elgin. Era più piccolo del solo titolo dell’articolo che mi dedicarono. Baylor è stato totalmente snobbato dal Post.»

Il 17 Maggio 1954 la Corte Suprema degli Stati Uniti pubblica la sentenza nota come “Brown v. Board of Education”, che dichiara incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole pubbliche. Uno storico passo in avanti.

Immediatamente viene organizzata una sfida tra gli Stonewalls di Baylor e una selezione dei migliori prospetti delle scuole per bianchi dell’area di Washington. Neri contro bianchi, come non era mai successo prima. Lo Scholastic All-Stars è, naturalmente, guidato da Wexler. La gara non ha storia, di fronte a quasi mille spettatori i neri stravincono, ma a tenere banco è il duello tra Elgin e Jim. Ad un certo punto Wexler marca Baylor vicino al canestro, Elg gli si mette davanti, riceve e schiaccia. Di schiena. Dopo qualche attimo di silenzio, il pubblico espolde. «Non credo che nessuno avesse mai visto una reverse dunk prima di allora, neppure io l’avevo mai tentata prima. Io e Jim ci siamo guardati, lui mi ha sorriso e io gli ho fatto l’occhiolino. C’era rispetto tra noi.»

Con gli Stonewalls affronta una selezione di atleti – bianchi, ça va sans dire – provenienti da college del calibro di Georgetown, La Salle e Maryland. A guidarli il talentuoso Gene Shue, appena chiamato con la terza scelta dagli allora Philadelphia Warriors nel Draft del 1954. Gentleman Gene è l’unico motivo per cui la gara è, nel primo tempo, equilibrata. Baylor (38 punti) e compagni dominano e stravincono. Il duello ha successo e viene organizzato un rematch pochi giorni dopo, un compagno di Shue è sicuro: Elgin non avrebbe segnato 38 punti contro di lui.

«Aveva ragione, ne segnai 47. Non mi piace vantarmi, lascio parlare il campo.»

Elgin Baylor

The Potato State

Con la fine della segregazione nelle scuole pubbliche Baylor e sua madre attendono una chiamata dai college, che non arriva. Rabbit rifiuta l’offerta degli Harlem Globetrotters, ma gli atenei sono spaventati dalla carriera scolastica poco brillante di Elg e soprattutto dall’abbandono del penultimo anno. Il padre dell’amico Warren Williams viene a sapere che in un piccolo college dell’Idaho l’allenatore cerca atleti in grado di competere in più sport. I Williams attraversano l’America e completano l’ingaggio di entrambi.

Siamo nell’Agosto del 1954, in vita sua Baylor è uscito dall’area di Washington solo per qualche gara in trasferta o per fare visita a Gladys e Simiel ad Harpers Ferry, nel West Virginia. Ora lo attende un viaggio di quasi 4000 chilometri verso Caldwell, cittadina di poco più diecimila abitanti e sede del College of Idaho. Piccolo ateneo (450 studenti) non segregato dove ragazzi bianchi e neri studiano, mangiano e praticano sport insieme. Un cambiamento epocale.

Baylor e Williams affrontano un viaggio in treno di due giorni, durante una sosta a Chicago Rabbit viene avvicinato da un ricettatore di orologi che gli propone… Un Elgin! Dopo una breve trattativa l’affare è concluso per 10 dollari rispetto ai 30 iniziali. «È stato il primo orologio della mia vita, lo conservo da allora ed è perfettamente funzionante. Sapevo che mi stava imbrogliando, quell’orologio valeva al massimo due dollari forse anche meno. Sicuramente non era un Elgin e neppure un Timex, ma io dovevo averlo. Era ora di iniziare la mia nuova vita.»

Arrivati al campus Elg e W.W. legano subito con Raleigh Climon Owens, studente al terzo anno che gli fa da Cicerone introducendoli alla vita universitaria. Sam Vokes, coach delle squadre di basket e football, è sveglio e capisce subito che il talento cristallino di Baylor non può essere messo a rischio sulle 120 yard. Nei primi allenamenti Elgin stupisce tutti con i suoi movimenti fluttuanti e l’innata capacità di disorientare l’avversario con esitazioni, finte e jab step. Ma a lasciare di stucco Owens è uno dei movimenti iconici di Rabbit: palleggio, cambio di direzione e penetrazione chiusa quasi spalle a canestro con un reverse layup di tabella. Un gesto tecnico praticamente indifendibile.

La stagione dei Coyotes è straordinaria, la frontline composta da Elg & R.C. è una forza della natura. L’intesa tra i due, diventati compagni di stanza, è immediata: la visione del primo si sposa alla perfezione con la capacità di ricevere del secondo. Baylor segna 57 punti all’esordio, 46 nella seconda gara e 53 nell’ultima; “C o I” vince 18 gare consecutive e chiude con il miglior record di sempre.

L’atto finale del NAIA District 5 Tournament (la National Association of Intercollegiate Athletics è la NCAA dei piccoli college) prevede la sfida contro Montata State. Ma l’epilogo della stagione è amaro: nei primi minuti Elgin cattura un rimbalzo offensivo e schiaccia con veemenza, scioccando il pubblico e… non solo. Dopo un conciliabolo gli arbitri sanzionano l’azione «Hai fatto troppi passi!» e decidono di applicare un discutibile metro arbitrale, fischiando falli e infrazioni di passi in quasi tutti i possessi che coinvolgono Baylor. 76-78 e stagione finita.

«Home cooking. (arbitraggio casalingo, nda) Non avevano mai visto prima i movimenti di Baylor e lo hanno sanzionato completamente a caso. Come poteva aver commesso passi mentre era ancora in aria? Gli avversari erano così sbalorditi dalle movenze di Elg che non sono riusciti neppure a giocare sporco o ad usare insulti razzisti.»

R.C. Owens

It’s time to grow up

Nonostante gli ottimi risultati sul campo, l’ateneo decide di ridimensionare il programma sportivo a causa di problemi economici. Sconvolto, Baylor torna a Washington. Trascorre il tempo con la mamma e le sorelle – anche se non quanto vorrebbe con l’amata Columbia – e riprende a piallare avversari alla guida degli Stonewalls. Le settimane volano via ed arriva il 16 Settembre 1955, giorno del suo ventunesimo compleanno. «Potevo votare, potevo bere. Dal punta di vista legale ero diventato un “uomo”.»

Quella mattina, dopo aver cercato di evitare il padre per tutta l’estate a causa della rabbia che ancora cova dentro di lui, decide di provocarlo. Elgin entra nel soggiorno, prende dal mobiletto la “sua” amata bottiglia di whiskey del Kentucky e si siede di fronte al suo vecchio. Beve due cicchetti tutti d’un sorso. John lo squadra e commenta «Pare che abbiamo un uomo nuovo in casa» prima di tornare a leggere impassibile il giornale. Raggiunto il parossismo della rabbia, Elg finalmente capisce. L’odio svanisce e monta la tristezza. Tutti i sentimenti negativi si sgretolano perché all’improvviso si rende conto delle paure, dei soprusi e delle umiliazioni che il padre ha affrontato e subito, rendendolo quello che è. Suo padre.

🎩 Out of the Rabbit Hole

“Autum Leaves“ brano francese portato al successo da Miles Davis, testi di Johnny Mercer

Will never clear away my tears
And I know, I just won’t sleep tonight
I’ll watch the rain and hear the wind
Blowing all my tears down to the street
Non cancellerò mai le mie lacrime
E lo so, non dormirò stasera
Guarderò la pioggia e ascolterò il vento
Che soffia via le mie lacrime nella strada

Durante la presidenza di Dwight D. Eisenhower, il Congresso approvò il “Civil Rights Act” per assicurare agli afroamericani di poter esercitare il diritto di voto. Nello stesso anno, il 1957, il presidente dovette intervenire per risolvere la “Crisi di Little Rock” in Arkansas e consentire a nove studenti di frequentare il liceo; ad Atlanta nacque la Southern Christian Leadership Conference di Martin Luther King.

«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare»

Jack Kerouac, “Sulla strada” (1957)

Col morale rigenerato dall’estate trascorsa in famiglia, Baylor è pronto ad affrontare un altro cambiamento memorabile: accetta la proposta dell’Università di Seattle guidata da Al Brightman, portando con sé anche l’amico Lloyd Murphy e il cugino Francis Saunders. Tuttavia, il regolamento sui trasferimenti tra i college gli impedisce di scendere in campo

Nonostante un record non entusiasmante gli Chieftains vengono invitati al torneo regionale che garantisce l’accesso alle NCAA Final Four. Al Coliseum di Corvallis, Oregon c’è anche l’Università di San Francisco guidata da Bill Russell. Dopo cena, girovagando per l’hotel Baylor incontra un paio di tifosi dei Dons e capisce che Bill alloggia nella stessa struttura, resta solo da scoprire dove. Elgin si dirige verso la reception rimuginando sulla scusa per scucire l’informazione, ma un fattorino lo riconosce e gli fornisce il numero della stanza in cambio di un autografo.

«Chi è?»
«Sono… Elgin Baylor.»
«…Rabbit?»

Il primo colloquio tra Elgin e Bill


Il ragazzone dalla Louisiana lo accoglie calorosamente: lo invita a sedere e gli offre da bere. La connessione tra i due talentuosi e «giovani ragazzi di colore» è immediata e dialogano in assoluta libertà fino alle tre di notte su basket, college, educazione, razzismo e sulle vicissitudini dei padri. Elg è sorpreso dalla serenità con cui Bill vive il prepartita «Non voglio sminuire l’altra squadra, ma non sono preoccupato. Sono loro ad avere un problema: devono giocare contro di me.»

L’indomani i Dons superano agevolmente i Bruins, mentre gli Utes sovvertono i pronostici ed eliminano gli Chieftains. Nella finalina i compagni vengono travolti da UCLA e coach Brightman – visibilmente ubriaco – si scaglia contro l’allenatore avversario: John Wooden. Contumelie, urla e spintoni rompono il rapporto tra l’ateneo e Al Brightman. Baylor non giocherà mai per l’allenatore che lo ha reclutato.

Back on track

Il nuovo coach di Seattle è l’esordiente John Castellani, che lo invita a giocare la sua pallacanestro, lasciando che siano le sue qualità ad indirizzare il flusso delle gare e non il contrario. Elgin esordisce contro Denver mettendo a referto 40 punti, 18 rimbalzi e diverse lacrime, che esprimono l’emozione per il ritorno in campo dopo oltre un anno. Baylor è una macchina da punti e trascina Seattle con il suo gioco fatto di velocità, palleggi dietro la schiena, giocate sopra al ferro e jumper incurante dei raddoppi avversari. Dopo una performance da urlo contro Portland (51+20), Elgin chiude l’anno con 29.7 punti (terzo nella nazione) e 20.3 rimbalzi (primo) a partita con il 48.8% dal campo e l’80.1% dalla lunetta, venendo inserito nel Consensus All-America Second Team.

Un po’ a sorpresa, l’ateneo decide di giocare le proprie carte al National Invitation Tournament, ritenuto più abbordabile del torneo NCAA. Il NIT è comunque il più antico torneo di pallacanestro collegiale statunitense e lo showdown del 1957 si tiene al Madison Square Garden di New York. Forte dell’ottimo ranking, Seattle salta il primo turno e affronta nei quarti di finale la St. Bonaventure University di Allegany.

Per l’occasione, i Baylor raggiungono la Grande Mela in treno: per la prima volta l’orgoglioso – finalmente! – John assiste alle prodezze del suo Elg. Ma il sogno di Rabbit si tramuta rapidamente in un incubo: gli allora Indians sorprendono gli Chieftans, incapaci di trovare contromisure al soffocante pressing a tutto campo degli avversari. Fioccano gli errori, le perse e i falli in attacchi. Elgin mette a referto 23 inutili punti e cattura 25 rimbalzi in una gara persa nettamente.

«È stata la peggiore gara della mia carriera. Mi sono scusato con i miei, ma mio padre mi ha fermato dicendomi ‘Non è vero, sei stato grande.’ Così ho capito che non occorre essere una superstar per rendere orgogliosi i propri genitori.»

Elgin Baylor

Wilt The Stilt

Elgin, come di consueto, torna a casa ma quella del 1957 è un’estate diversa dalle precedenti. Alla guida della sua Oldsmobile decapottabile rossa e bianca, deciso ad imporre la sua legge sui playground della capitale, arriva in città Wilt Chamberlain. The Big Dipper – 216 centimetri per 120 chilogrammi – è reduce dalla beffarda sconfitta nella finale NCAA, subita contro North Carolina al termine di tre overtime caratterizzati da gioco duro e insulti razzisti.

Il passaparola riempie le palestre e i malridotti campi di Washington con oltre duemila spettatori, dove per tre settimane i due talenti si affrontano. Wilt è mostruosamente atletico, agile e rapido ma anche egocentrico e poco incline a coinvolgere i compagni. Elg si affida alla sua versatilità e all’intesa costruita in tanti anni con gli amici, dopo aver vinto la prima sfida, si aggiudica anche la seconda. E la terza. Così tutte le successive. Il gigante dalla Pennsylvania borbotta contro i compagni locali, salvo ritrovare il buonumore nelle tante feste a cui partecipa. In una di queste, Rabbit conosce la sua futura fidanzata Ruby Saunder.

Scoring Machine

Chiusa la stagione amatoriale, Elgin torna a Seattle dove Castellani implementa una difesa ad uomo più aggressiva mentre in attacco il proposito è correre il più possibile.

Baylor, dopo aver scaldato i motori contro Portland, stabilisce il nuovo record dell’ateneo contro Montana State (53 punti e 22 rimbalzi). Ma è solo l’inizio, tre giorni dopo i Pilots dell’Università di Portland approdano a Seattle si confermano gli avversari prediletti di Elgin: il Giovedì chiude con 60 punti (di cui 22 negli ultimi nove minuti) e 14 rimbalzi con cui ribalta la gara; il Venerdì si accontenta di 43 punti e 22 rimbalzi. Rabbit chiude l’anno con 32.5 punti (secondo nella nazione) e 19.3 rimbalzi (primo) a partita con il 50.6% dal campo e il 76.9% dalla lunetta.

Al torneo NCAA Seattle travolge l’Università del Wyoming poi fanno visita a San Francisco. Il Cow Palace è gremito e il match non tradisce le attese: equilibrio, gioco maschio e serata illuminata dal talento di Rabbit. Jumper, passaggi no look, reverse layup e due incredibili outlet pass a tutto campo di cui il primo quasi senza guardare il compagno Jerry Frizzell. I Dons pareggiano a pochi secondi dalla sirena, gli Chieftans affidano il pallone tra le mani nel proprio numero 22.

Coach Phil Woolpert urla ai suoi ragazzi di non concedere la penetrazione, Elgin neppure ci prova e si alza in sospensione ad oltre dieci metri dal canestro. Swish. Il buzzer-beater di Baylor (35 punti e 20 rimbalzi) decide la partita.

A contendere l’accesso alle final four alla squadra di Castellani è l’Università della California di Berkeley, guidata da Pete Newell. Quel Coach Pete che guiderà Team USA alle Olimpiadi di Roma, porterà Jabbar ai Lakers e che Rick Carlisle definirà «Il Padrino della pallacanestro moderna.» Newell, maestro della tattica, decide di triplicare Elgin per quasi tutta la gara e i suoi Golden Bears impongono un ritmo lentissimo. Elg non è strabordante come in altre occasioni, ma è glaciale dalla lunetta.

Le Final Four e il Draft

L’atto conclusivo del torneo si tiene a Louisville, Kentucky. La semifinale è contro la numero uno della nazione, Kansas State University, per il più classico dei Davide contro Golia. Seattle dilaga, ma nel finale un avversario colpisce Elgin, rompendogli una costola.

Baylor, dolorante e medicato alla meno peggio, assiste all’altra semifinale tra Kentucky e Temple. Elgin si guarda intorno, poi chiede al suo coach quanti spettatori riempiono la Freedom Hall. «Diciannovemila Scruto tutta la folla. Poi mi rivolgo a Charlie e Francis, facendogli notare che il giorno dopo saremmo stati noi tre insieme a diciottomila, novecento e novantasette bianchi.» Nonostante uno stoico Guy Rodgers, gli Owls perdono di uno contro i Wildcats, complici diverse chiamate discutibili. A fischiarle, gli stessi arbitri designati per la finale.

Il 22 Marzo 1958 si affrontano Seattle e l’Università del Kentucky, da quasi trent’anni allenata da Adolph Rupp e già tre volte vincitrice del torneo. Coach Rupp è una figura controversa e leggendaria – vista anche nel film Glory Road – del basket NCAA, ma sicuramente conosce il proprio mestiere. Durante la gara Baylor stoppa diverse conclusioni avversarie, ma gli vengono fischiati rapidamente tre falli. Il numero 22 degli Chieftains chiede spiegazioni all’arbitro, ma la risposta non lascia spazio a interpretazioni di sorta: «Chiudi il becco e gioca, boy.» ‘Boy’. Come i poliziotti di Washington tredici anni prima.

Seattle tiene botta e chiude avanti il primo tempo, poi quarto fallo di Elgin e le mosse di Castellani complicano ulteriormente la gara. Coach John stravolge l’abituale piano partita della sua squadra: in difesa schiera una zona improvvisata, mentre in attacco prova ad abbassare il ritmo per guadagnare tempo. È un disastro. I Fiddlin’ Five di Kentucky rimontano e vincono 84-72.

Nonostante la sconfitta, Rabbit (highlight su YouTube) viene nominato Most Outstanding Player del torneo poi viene inserito nell Consensus All-America First Team insieme a Wilt Chamberlain, Guy Rodgers, Oscar Robertson e Bob Boozer. Per la prima volta nella storia il primo quintetto della nazione è composto da cinque atleti afroamericani, mentre Rupp, all’epoca, non ne aveva mai allenato uno.

Avendo saltato il secondo anno, Baylor potrebbe tornare a Seattle ma decide di entrare nel draft. Elgin rifiuta un’altra offerta degli Harlem Globetrotters e non cede alle lusinghe dei New York Knicks. Bob Short, da poco proprietario dei Minneapolis Lakers, intende rilanciare la franchigia del Minnesota e il 22 Aprile 1958 lo seleziona con la prima scelta assoluta. Rabbit firma un contratto da 25.000 dollari, il più alto mai firmato da un rookie.

«Ho trascorso tutta l’estate giocando a basket, mattina e sera. Tranne il pomeriggio del 10 Luglio, quando io e Ruby ci siamo sposati. Il nostro viaggio di nozze è stato il viaggio verso il Minnesota, dove lei avrebbe continuano gli studi mentre io sognavo una carriera decorosa con i Lakers.»

Elgin Baylor

✨ A Rabbit among the Stars

“Oh, Freedom” risale ai tempi della guerra civile americana, quella di Odetta Holmes è tre le interpretazioni più celebri

Oh-o freedom, Oh freedom over me
No more segregation
No more weepin'
No more tommin'
Oh libertà, Oh libertà su di me
Niente più segregazione
Niente più pianti
Niente più sottomissione

Nel 1960, quattro studenti afroamericani iniziarono un sit-in non violento a Greensboro, Carolina del Nord contro la segregazione nelle tavole calde. Con la vittoria di John Fitzgerald Kennedy alle elezioni presidenziali, il governo centrale pose fine alle discriminazioni sui mezzi pubblici e nell’acquisto degli immobili. Allo stesso tempo, George Wallace fu eletto governatore dell’Alabama con programma chiaro e conciso: «Segregazione ora, segregazione domani, e segregazione per sempre.»

«Il coraggio è quando lotti sapendo che avrai già perso.»

Harper Lee, “Il buio oltre la siepe” (1960)

La prima dinastia del basketball a stelle e strisce non c’è più. Dopo aver vinto cinque titoli in sei anni, i Minneapolis Lakers sono sull’orlo del fallimento. L’owner Bob Short rifiuta le offerte di acquisto e mette il futuro della franchigia nelle mani di Elgin Baylor.

Il 22 Ottobre 1958, all’esordio contro Cincinnati, Elgin segna 25 punti con 13 rimbalzi e 6 assist; poi nelle partite successive è rallentato dal desiderio di non apparire come un egoista o mangiapalloni, anche perché è il primo atleta afroamericano investito del ruolo di realizzatore anziché specialista difensivo. Ma il suo talento non può essere ingabbiato e dopo l’incitamento del compagno Hot Rod Hundley ricomincia a macinare canestri.

Nel primo duello con Bill Russell a Boston, Baylor alimenta il suo fuoco interiore per reagire alla freddezza e l’ostilità con cui l’amico lo accoglie. Elg batte i raddoppi dei Celtics a suon di finte di corpo e spin move, poi chiude a canestro restando sospeso in aria più di ogni avversario. Bill prova a chiudere l’ennesima penetrazione cercando la stoppata, ma Elgin salta più in alto e schiaccia contro il suo braccio proteso. La folla è ammutolita e incredula, come Russell. La battaglia prosegue e si chiude dopo un overtime con il successo dei Celtics, ma il Garden non nega l’applauso all’avversario con il numero 22. Bill lo raggiunge negli spogliatoi: «Allora, dove vuoi mangiare? Sono affamato.»

La protesta di Charleston

L’NBA è in crescita e il calendario risente della voglia della lega di far conoscere il proprio prodotto: i Lakers giocano nelle città vicine a quelle titolari di una franchigia oppure in quelle che potrebbero ospitarne una in futuro. I viaggi sono frenetici – tra dicembre e gennaio giocano ben 13 partite in 19 giorni – e disagevoli. Questi giganti si accucciano in spazi angusti e inadeguati, dormono in sistemazioni sprovviste di letti idonei e devono lavare le uniformi nei lavelli degli hotel. La condivisione del disagio consolida il rapporto tra i compagni, che fanno tutto insieme e diventano amici. Quando gioca a carte Baylor parla in continuazione e si guadagna il nomignolo Motormouth.

A metà gennaio, i Lakers affrontano Cincinnati nella città natale di Rod Hundley: Charleston, nel West Virginia. Hot Rod è elettrizzato, avendo invitato mezza città per vedere all’opera il fenomeno da Washington. In hotel, capitan Vern Mikkelsen scopre che la struttura riceve solo bianchi. Baylor protesta, coach Kundla informa Short e infine trovano una sistemazione all’Edna’s Tourist Court, un piccolo motel frequentato solo da neri. Ma le discriminazioni non sono finite: nessun ristorante o tavola calda serve Elgin, costretto a mangiare in camera un pasto frugale. Esasperato, decide di non scendere in campo.

La comunità di Charleston è indignata, Rabbit riceve lettere minatorie e minacce ma la sua protesta ottiene un risultato storico. Il Commissioner Maurice Podoloff decreta che le squadre NBA non potranno esibirsi nelle città dove vige la discriminazione.

Sul campo Baylor continua ad incantare: all’All-Star Game guida l’ovest alla vittoria e viene nominato co-MVP insieme a Bob Pettit, contro Cincinnati ritocca il suo career-high salendo a quota 55 punti. Elgin chiude la stagione con 24.9 punti, 15 rimbalzi e 4.1 assist a partita; viene nominato Rookie of the Year e inserito nell’All-NBA First Team insieme all’amico Russell, per la prima volta nel miglior quintetto della lega ci sono due giocatori di colore.

I Lakers approdano ai playoff, eliminano i St. Louis Hawks – campioni in carica – e tornano in finale. Va così in scena la prima finale tra Celtics e Lakers. All’esodio il numero 22 sfiora l’impresa ma il collettivo guidato da coach Red Auerbach chiude con sei uomini in doppia cifra. Nelle due gare successive i verdi limitano Elgin, la cui Gara 4 super non serve ad evitare lo sweep. Il giornalista Murray Olderman, per raccontare il deserto tecnico che circonda Rabbit, titola così il pezzo dedicato ai playoff: «Elgin Baylor: One-Man Franchise».

Lo Zio Sam e la grande paura

Con l’avvento di Baylor i conti dei Lakers tornano in attivo, ma i piani della franchigia sono sconvolti dalla Guerra Fredda, che spingono la U.S. Army ad arruolare riservisti. Onde evitare di essere spedito in Europa come Elvis Presley, il coscritto Elgin parte volontario e durante l’estate trascorre sei settimane di addestramento a Fort Sam Houston, vicino San Antonio. I Lakers spostano il training camp nel Texas, per consentire a Baylor di allenarsi il pomeriggio e nei weekend. Tra un rapporto difficile con il sergente e problemi legati all’indisponibilità di brande e indumenti adatti alla sua stazza, la paradossale esperienza nell’esercito di Elg viene paragonata dalla sorella Columbia a uno spettacolo di “Abbott and Costello” (in Italia “Gianni e Pinotto”).

Nella prima sfida stagionale contro Boston, Elgin arde dalla voglia di rivalsa e infiamma la retina degli avversari: 64 punti, 17 rimbalzi e 8 assist. I Lakers battono i Celtics dopo due anni e mezzo, Rabbit stabilisce il nuovo record della NBA (uno in più dei 63 segnati da Joe Fulks nel 1949). Dopo aver provato a limitarlo in ogni modo, persino Auerbach annuisce in segno di rispetto. AI Playoff Elgin travolge nuovamente Detroit, ma questa volta il suo eroismo non basta per piegare St. Louis che passa in sette gare segnate dal lancio di uova, birre e altra immondizia dal pubblico degli Hawks. Elg incrementa la sua produzione ed entra ancora nel primo quintetto NBA, dove ritrova una vecchia conoscenza: il rookie Wilt Chamberlain.

La stagione dei Lakers, però, vive il suo momento più drammatico fuori dal campo. Il 17 Gennaio 1960 le condizioni meteo sfavorevoli costringono l’areo in cui viaggia tutta la squadra ad un atterraggio d’emergenza nelle campagne dell’Iowa e solo l’esperienza del pilota evita il peggio.

Carroll Daily Times Herald
Carroll Daily Times Herald

The Golden State

Gli Hawks, piegati ancora dai Celtics, offrono ai Lakers 200.000 dollari e un giocatore per Baylor. Short rifiuta, perché Elgin è la pietra angolare della franchigia che nell’estate del 1960 si trasferisce a Los Angeles. Inoltre Rabbit, diventato a marzo padre di Alan, non ha dubbi e si trasferisce con Ruby ad L.A.

I Lakers assumono Fred Schaus dalla West Virginia University, già allenatore della seconda scelta assoluta del draft: Jerry West. Ma il rendimento della squadra viene penalizzato dal duro calendario, poiché i californiani sono l’unica squadra ad Ovest e spesso giocano anche quattro gare consecutive in trasferta. Per Baylor «Questo calendario è stato realizzato da un ubriaco oppure da Red Auerbach.»

Per invertire la rotta, Rabbit salta ancora più in alto e contro New York ritocca il suo record realizzando 71 punti con 25 rimbalzi. I Lakers faticano, ma iniziano a mostrare i primi segni distintivi del loro gioco: ritmo elevato, jumper raccogliendo il palleggio oltre ai voli sopra al ferro di Elg per una sorta di “Showtime 1.0”.

Ai playoff si rinnova la sfida contro Detroit, dove esordisce Francis Dayle Hearn, per gli amici Chick. I californiani dominano e conquistano il diritto ad affrontare, ancora una volta, St. Louis. Gli Hawks hanno nuovamente la meglio e infliggono ai Lakers due incredibili sconfitte segnate dal gioco duro e dalle polemiche arbitrali. Rabbit chiude la sua annata incredibile con 34.8 punti, 19.8 rimbalzi e 5.1 assist.

Pochi possono provare a sfidare Russell nel pitturato. Pochissimi quelli che riescono a evitare le lunghe leve di Bill. Solo uno è in grado di chiudere al ferro contro uno dei migliori difensori della storia: Elgin Baylor.

🌴 A Rabbit in L.A.

“Mississippi Goddam” scritta nel 1963 da Nina Simone dopo l’omicidio dell’attivista nero Medgar a Jackson, Mississippi

Oh but this whole country is full of lies
You're all gonna die and die like flies
I don't trust you any more
Oh, ma l'intero paese è pieno di bugie
Morirete tutti, morirete come le mosche
Non mi fido più di voi

Nella seconda metà degli anni sessanta gli Stati Uniti furono sconvolti dagli omicidi: nel 1963 John Fitzgerald Kennedy fu ucciso a Dallas, un anno e mezzo dopo analoga sorte toccò all’attivista Malcolm X. Dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1964, Martin Luther King venne ucciso a Memphis il 4 Aprile 1968. La soppressione di una sommossa a sfondo razziale nel 1965 a Los Angeles produsse 34 morti e 1032 feriti.

«Signore salvaci, questa casa è invasa dai negri!»

Tillie, domestica di colore dei Drayton, “Indovina chi viene a cena?” (1967)

La Città degli Angeli inizia a sentire come suoi i Lakers e affronta la nuova stagione con entusiasmo. West è promosso in pianta stabile in quintetto e si dimostra il complemento ideale per il gioco di Baylor, il primo capitano afroamericano della NBA.

L’8 Dicembre 1961 prevede il match con i Philadelphia Warriors, ovvero Rabbit vs. The Big Dipper. La sfida tra i due rivali diventa leggendaria: Baylor chiude con 63 punti, 31 rimbalzi, 7 assist e il successo dopo tre overtime; l’incontenibile Chamberlain risponde con 78 punti, 43 rimbalzi e il record strappato all’amico. Una gara che diventa manifesto del diverso approccio delle due macchine da canestro: Elg è uno scorer al servizio della squadra, mentre Phila è una squadra al servizio di Wilt.

Una stagione sensazionale

Baylor gioca il miglior basket della sua carriera e nel suo arsenale aggiunge una variante al tradizionale terzo tempo: una volta raccolto il palleggio, dopo il primo passo incrocia con un repentino cambio di direzione grazie al quale elude la difesa dei lunghi avversari. L’antenato dell’euro-step.

Ma dove non possono gli avversari, riesce la U.S. Army. Le tensioni successive alla costruzione del muro di Berlino causano il richiamo di migliaia di riservisti, Elgin Baylor compreso. Il 3 Gennaio 1962 il numero 22 prende servizio a Fort Lewis, vicino Washington; può giocare solo nei weekend e gli viene concesso un permesso speciale per giocare all’All-Star Game, dove realizza un layup spalle al canestro che finisce al primo posto della Top 10 postuma della NBA.

I Lakers vincono quasi tutte le gare in cui possono schierare Baylor e ai playoff battono ancora una volta Detroit; i verdi ingabbiano Chamberlain e offrono alla nazione la sfida più attesa: Los Angeles contro Boston. I gialloviola vincono in trasferta, in California esplode la Lakersmania. Gara 3 è una sfida nella sfida tra Elgin (39 punti e 23 rimbalzi) e Bill (26 punti e 23 rimbalzi), che restano in campo per tutti e 48 i minuti. A pochi secondi dalla sirena Boston ha la rimessa del potenziale game-winner. Elg chiama timeout e istruisce Jerry sullo schema che eseguiranno i rivali. Il resto è storia: Mr Clutch intercetta la rimessa e segna il layup della vittoria.

«Don’t ever underestimate the heart of a Champion.» Trent’anni prima di Rudy Tomjanovich, Boston dimostra sul campo quanto l’iconico motto sia veritiero pareggiando la serie. Ai Lakers serve un’impresa, ai Lakers serve Rabbit.

La difesa dei Celtics non è solo Russell, i campioni in carica possono contare anche sull’esperto mastino Tom Sanders; Satch dispone della mobilità e della stazza necessaria per rivaleggiare con Baylor sia lontano che vicino al canestro. Ma la star dei Lakers, come posseduta, sembra non avvertire la presenza dell’avversario: se gli concede spazio lo batte tirando dalla media, se gli si incolla lo batte in palleggio per arrivare al ferro. Elgin trascina i suoi e nel finale elude anche gli aiuti di Bill: prima con un layup, poi con una clamorosa schiacciata che costringe l’amico a ritrarsi.

Dal Garden sconfitto si alza un applauso scena aperta. Rabbit interroga Hot Rod: «Stanno applaudendo te, ragazzo. Hai appena segnato 61 punti. È il nuovo record delle finali.»

In Gara 5 delle NBA Finals del 1962 Elgin Baylor mette a referto 61 punti e 22 rimbalzi, giocando tutti i 48 minuti.

Baylor e West non riescono a chiudere la serie e la contesta torna in Massachusetts. Il match è equilibrato ma l’overtime premia, ancora una volta, i Celtics. Elgin chiude con 41 punti e 22 rimbalzi, Bill replica con 30 punti, cattura ben 40 rimbalzi e stoppa un numero imprecisato di conclusioni.

«Al termine della partita ero a pezzi. Ho cenato con Bill, non abbiamo parlato della partita ma del nostro futuro. L’indomani sarei dovuto tornare a Fort Lewis per le ultime sei settimane di servizio. Ma in quel momento avevo un solo pensiero nella testa: “Li avevamo in pugno.”»

Elgin Baylor

L’All-NBA First Team è composto da Elgin Baylor (38.3 punti, 18.6 rimbalzi e 4.6 assist), Wilt Chamberlain (50.4 punti di cui i famosi 100 contro New York e 25.7 rimbalzi), Bob Pettit (31.1 punti e 18.7 rimbalzi), Oscar Robertson (30.8 punti, 12.5 rimbalzi e 11.4 assist per la prima tripla doppia di media della storia) e Jerry West (30.8 punti, 7.9 rimbalzi e 5.4 assist). Nel suo The Book of Basketball, Bill Simmons definirà la stagione 1961/62 come la migliore di tutti i tempi della NBA: «Sostengo che la stagione di Elgin è stata più incredibile di quelle di Oscar e Wilt. Baylor spesso non si è potuto allenare, praticamente l’NBA era come un secondo lavoro da fare nel fine settimana. Quello che ha fatto non ha senso, nessuno. È inconcepibile.»

Guidati da Elgin e Jerry, novelli ‘Mr. Inside and Mr. Outside’, i Lakers partono col piede giusto e arrivano all’All-Star Game con il miglior record della NBA. La stampa è in estasi e definisce L.A. come «il centro del mondo del basket.» L’allenatore della compagine dell’Est, Red Auerbach, la pensa diversamente: «I Celtics hanno vinto quattro titoli consecutivi, credo che i Lakers ne debbano vincere almeno un paio prima che qualcuno possa considerare Los Angeles come centro del basket.»

Un problema al tendine d’Achille ferma West, Baylor stringe i denti, ignora il dolore alle ginocchia ed evita il tracollo della squadra. I Lakers recuperano Jerry, superano gli indomiti Hawks e sfidano nuovamente Boston, che vola sul 3-1. Rabbit, benché limitato dei problemi fisici, non molla: 43 punti e 20 rimbalzi. Ma in Gara 6 Bill Russell è monumentale e tiene un vero e proprio clinic difensivo: 28 rimbalzi e 9 stoppate oltre a 12 punti e 9 assist, per un dominio nel pitturato che solo Elgin riesce a scalfire. A fine gara si congratula con l’amico, ma è distrutto: «Perdere fa male, perdere con loro uccide.»

«I Have a Dream»

Durante l’estate Baylor torna a Washington per salutare la sua famiglia e partecipare ad una tappa fondamentale della sua vita. Elgin è tra gli oltre 250.000 americani che assistono allo storico discorso del reverendo Martin Luther King Jr. di fronte al Lincoln Memorial.

L’All-Star Game di Boston è un’occasione speciale: l’evento verrà trasmesso dall’ABC, per inaugurare un remunerativo contratto. Ma gli atleti sono in subbuglio, l’NBA e i proprietari non vogliono discutere migliori condizioni contrattuali, per cui ipotizzano di boicottare la partita delle stelle. La decisione finale spetta a quello reputano il proprio leader fin dai fatti di Charleston: Elgin Baylor. Con le parole di MLK impresse nella mente, Rabbit non ha dubbi: lo sciopero si farà.

Qualche ora prima della gara la decisione viene comunicata agli organizzatori, Short si precipita negli spogliatoi minacciando di licenziare l’uomo che ha salvato la sua franchigia. Baylor tiene testa all’owner e rispedisce gli epiteti al mittente. Il Commissioner James Walter Kennedy convoca d’urgenza i proprietari e accoglie le richieste dei giocatori. Nasce così il primo piano previdenziale per gli atleti professionisti, l’ABC trasmette la gara e l’NBA cambia per sempre.

La stagione dei Lakers, complicata dagli acciacchi di Baylor e West, è deludente e dopo il terzo posto nella Western Division cedono al primo turno contro St. Louis.

Il terribile crack e il rientro miracoloso

In estate, dopo l’arrivo della secondogenita Alison, Elgin decide di incontrare il Dott. Robert Kerlan. Rinvigorito dai nuovi trattamenti, Baylor evolve ulteriormente il suo gioco. Va con maggiore intensità a rimbalzo per lanciare la transizione, esaltando la velocità di compagni. Ma non solo, essendo dotato di un ball handling e una visione di gioco superiore ai pari ruolo, si occupa anche di costruire contro la difesa schierata. Rabbit resta uno scorer formidabile, ma coinvolge sempre più i compagni e diventa l’archetipo delle future Point Forward.

Ai playoff, la serie di Baylor contro la Baltimora di Walt Bellamy dura meno di cinque minuti poiché la rotula del ginocchio sinistro va in frantumi. Senza il loro capitano, i Lakers arrivano comunque in finale. Ma se West è bastato per superare i Bullets, contro i Celtics lo stoico Jerry può solo evitare lo sweep.

In seguito ad un delicato intervento di ricostruzione, la diagnosi è tremenda: Elg tornerà a camminare, forse zoppicando, ma non potrà più giocare a pallacanestro. Rabbit però si congeda convinto di poter sovvertire i pronostici: «Giocherò ancora, non mi ritirerò. Farò tutto il possibile per rientrare, ma tornerò. Non sono finito.»

Contro ogni previsione, Baylor torna in campo. La partenza dei Lakers è altalenante, segnata dalle difficoltà di Elgin nel ritrovare il ritmo. Il numero 22 è titubante, poco aggressivo e preferisce affidarsi al suo jumper; ma infine si scuote e torna ad esprimersi ai livelli pre-infortunio. Rabbit ormai maturo, gioca con maggiore intelligenza: quando ha il vantaggio fisico porta l’avversario in post basso, quando è più veloce si allontana dal canestro per poi attaccare dal palleggio. Se viene raddoppiato, non cerca la giocata ad effetto ma serve l’uomo libero cercando di sfruttare ogni crepa nella difesa avversaria.

I Lakers tornano alle Finals, che iniziano col botto. I Lakers sorprendono i Celtics in overtime, nel post partita Auerbach annuncia il suo successore: Bill Russell, che pur continuando a giocare diventa il primo allenatore di colore della storia della NBA. Boston reagisce e torna in Massachusetts avanti 3-1. L.A. è con le spalle al muro e serve tutto il talento del ritrovato Baylor (41 punti e 16 rimbalzi in Gara 5) per sbancare il Garden prima e pareggiare in casa poi. In Gara 7 i padroni di casa impongono la loro difesa fisica e con un minuto sul cronometro sono avanti di dieci. Auerbach accende il celeberrimo sigaro della vittoria e saluta l’NBA dopo aver conquistato nove titoli nei dieci anni precedenti.

In estate Baylor torna sotto ai ferri per migliorare la solidità dei tendini, mentre West salta le prime settimane per infortunio. La stagione dei Lakers è al di sotto delle attese, con poche luci e tante ombre. La delusione diventa beffa e frustrazione quando Chamberlain spazza via i Celtics e conquista il titolo.

Per tornare subito competitivi i Lakers cambiamo allenatore e firmano Willem Hendrik van Breda Kolff. Coach Butch, un ex marine, ha le idee chiare: i losangelini palleggiano troppo per cui implementerà il sistema offensivo elaborato da un suo assistente al college: la ‘Princeton Offense’ di Pete Carril.

I problemi fisici non smettono di tormentare i losangelini: West salta 31 partite, mentre Baylor – oltre ai problemi alle ginocchia – deve convivere con una curvatura anomala della spina dorsale, che gli provoca sempre più dolore con il passare degli anni. I fiori della rivoluzione tecnico-tattica di van Breda Kolff iniziano a sbocciare: l’11 Febbraio 1968, con sette uomini in doppia cifra, i Lakers infliggono ai Celtics la peggiore sconfitta interna (-37) della loro storia.

Le prime gare del nuovo capitolo della sfida infinita sono combattute, con entrambe le finaliste che conquistano un successo in trasferta. Ma col trascorrere della serie, l’impatto difensivo di Bill Russell cresce contestualmente alla frustrazione di Baylor e West per l’inadeguatezza dei loro lunghi contro il totem dei Celtics. L’equilibrio viene spezzato da John Havlicek, autore di 40 punti nella decisiva Gara 6.

🔝 Rabbit & The Big Three

“Hurricane” scritta nel 1975 da Bob Dylan per ricordare la vicenda del pugile Rubin Carter

How can the life of such a man
Be in the palm of some fool's hand?
To see him obviously framed
Couldn't help but make me feel ashamed to live in a land
Where justice is a game
Come può la vita di un uomo così
Essere nelle mani di qualche stolto?
Nel vederlo incastrato così palesemente
Non potevo aiutare ma mi sono vergognato di vivere in un Paese
Dove la giustizia è un gioco

Seppure lentamente, gli afroamericani poterono ambire alle cariche da sempre appannaggio dei bianchi. Nel 1972 Shirley Chisholm corse per la presidenza degli Stati Uniti, trentasei anni prima dell’insediamento di Barack Obama. La cultura e lo spettacolo provarono ad unire le passioni di bianchi e neri: la sitcom “Il mio amico Arnold” e i successi di Michael Jackson unirono le passioni di neri e bianchi, nel 1983 Alice Walker con “Il colore viola” fu prima afroamericana a vincere il Premio Pulitzer.

Ma i brutali pestaggi di Rodney King – dal quale derivarono le riots di Los Angeles – e James Bird a Jasper, Texas ricordarono che il razzismo e l’integrazione erano ancora una chimera.

«Quando stringi il pugno, nessuno può metterti qualcosa in mano né puoi raccogliere qualcosa.»

Alex Haley, “Radici” (1976)

Per colmare il divario sotto canestro rispetto, i Lakers piazzano il colpo a sorpresa: Chambers, Clark e Imhoff approdano ai Philadelphia 76ers in cambio di Wilt Chamberlain. La squadra ingrana, anche perché il talento a disposizione è troppo per non produrre risultati. Quello che preoccupa è il rapporto tra van Breda Kolff e Chamberlain: dopo l’ennesima sostituzione punitiva, Wilt dimostra di poter ancora dominare segnando 60 punti con 21 rimbalzi contro Cincinnati. Un furioso litigio tra i due finisce sui giornali, ma The Big Dipper alza la voce anche sul parquet: 66 punti e 27 rimbalzi contro Phoenix e ben 42 rimbalzi contro Boston.

Elgin cerca di adeguare il suo gioco alla presenza dell’ingombrante compagno: attacca il ferro quando il pitturato è libero, si muove di più sul lato debole per tirare in spot up o tagliare forte verso il canestro. Non mancano, naturalmente, i layup chiusi dopo le proverbiali torsioni e gli avvitamenti acrobatici che caratterizzano il suo gioco. Il 21 Marzo 1969, nell’ultima gara casalinga della stagione i Lakers organizzano la Elgin Baylor Night. Di fronte a compagni e familiari, Rabbit viene onorato ripercorrendo la sua brillante carriera al servizio della franchigia, prima a Minneapolis e poi Los Angeles. In regalo, il numero 22 riceve un’antica sedia appartenuta ad un presidente messicano.

Un celebrazione che sembra prematura, poiché Baylor chiude la stagione con 24.8 punti, 10.6 rimbalzi e 5.4 assist dopo aver saltato solo sei gare. La consueta inclusione nell’All-NBA First Team lo mette sullo stesso piano di Oscar Robertson, Billy Cunningham e i due Bullets Earl Monroe e Wes Unseld, appena nominato Rookie of the Year e MVP della stagione.

«Della gara non ricordo nulla. Quando ho lasciato il campo nell’ultimo quarto la mia famiglia esulta e il pubblico mi regala un’altra standing ovation. Tornando verso la panchina rivedo quella sedia, il mio trono. Il simbolo del mio pensionamento.»

Elgin Baylor

L’ennesima beffa

Nel primo turno contro San Francisco, Los Angeles sembra smarrita. Elgin, spento. Il numero 22 chiude la serie dimezzando le cifre messe insieme nella stagione regolare e contro gli Hawks gioca le prime quattro gare ampiamente sotto i suoi standard. Ma nella decisiva Gara 5 gioca una gara ai limiti della perfezione: 29 punti con solo cinque errori tra campo e lunetta, 11 rimbalzi e 12 assist.

Il giorno dopo Jim Murray, beatwriter del “Los Angeles Times”, scrive: «Credete nei fantasmi? Credete che i morti possano camminare? Galleggiare nell’aria e tirare in sospensione? La gente giura di aver visto lo spettro di Elgin Baylor infestare il Forum in pieno giorno.» Il giornalista lo ha capito, Baylor è stanco, emotivamente provato e con la testa lontano dal campo. Non una bella condizione, perché contro ogni pronostico Boston è tornata in finale superando Philadelphia e New York.

Nelle NBA Finals del 1969 i Lakers affrontano i Celtics potendo contare per la prima volta sul fattore campo. Contro l’amico Bill, Elgin rinasce e in Gara 2 segna 18 punti nei sette minuti finali. La seconda gara a Boston regala l’ennesimo finale al cardiopalma della rivalità: dopo un pasticcio a rimbalzo di Chamberlain, Sam Jones sigla il game-winner. Si decide tutto a Los Angeles. È il 5 Maggio 1969, il nuovo owner Jack Kent Cooke ingaggia un’orchestra e riempie il soffitto con migliaia di palloncini pronti ad essere liberati al suono della sirena. Per Baylor non è una buona idea e un cattivo presagio, secondo West forniranno un incentivo ulteriore ai rivali.

Boston è sempre in vantaggio e tocca il +17 nei primi minuti dell’ultima frazione, Chamberlain (4/13 dalla lunetta) cattura un rimbalzo e torna zoppicando in panchina con i suoi sotto di nove a cinque minuti dalla sirena. Russell, esausto, guarda – quasi disgustato – l’avversario lasciare il campo, poi volge uno sguardo interrogativo verso Baylor. West riduce ulteriormente le distanze, il pubblico ci crede e con loro Wilt, improvvisamente guarito, che si alza dirigendosi verso il tavolo per rientrare. van Breda Kolff lo invita a restare seduto, Chamberlain lo ignora. Butch ammutolisce l’arena «Metti il tuo grosso culo a sedere.»

I Celtics sono in difficoltà, sbagliano un paio di liberi e rischiano l’ennesima persa con Havlicek, ma il pallone finisce nelle mani di Don Nelson. Nellie non perde tempo, tira immediatamente… La palla colpisce il secondo ferro, s’impenna e ricade perfettamente nel canestro. Nel possesso successivo Bill Russell cancella un layup di Counts. Bill batte Elgin in finale per la settima volta. Dopo la gara, il numero 6 dei Celtics annuncia il suo ritiro, mentre van Breda Kolff si dimette. L’unica, magra, consolazione è l’assegnazione a West del primo NBA Finals Most Valuable Player Award.

«Sentivo, nella parte più profonda di me, che se non la mia ultima partita nella NBA, sicuramente sarebbe stata la mia ultima apparizione alle NBA Finals.»

Elgin Baylor

Los Angeles vs. New York

Con Russell fuori dai giochi i Lakers non intendono rinunciare a competere per il titolo. Il 35enne Baylor – incurante dei problemi alle ginocchia, ai tendini e alla schiena – gioca ai livelli della stagione precedente. Le NBA Finals del 1970 propongono la sfida contro i Knicks, battuti tre volte negli anno d’oro di Minneapolis.

New York ha vinto 14 gare in più di L.A. ed è la naturala favorita, potendo contare sull’MVP Willis Reed e su Walt Frazier. Le sfide sono combattute ed equilibrate, in Gara 3 Dave DeBusschere segna il jumper del +2 a pochi secondi della sirena, Chamberlain rimette in gioco e si dirige negli spogliatoi per evitare la possibile invasione di campo dei tifosi infuriati, ma Jerry West dimostra al mondo di meritare il nickname Mr. Clutch, mandando in estasi Chick Hearn e 18.000 increduli tifosi.

Ma nell’overtime West subisce un colpo al pollice sinistro e New York conquista la gara. Baylor gioca una Gara 4 super e la serie resta in parità. Nella sfida decisiva, Reed è in dubbio fino alla palla a due. I Knicks giocano con i nervi dei Lakers, ritardando l’inizio della partita di un quarto d’ora. Poi la folla esplode: pur zoppicando, Reed raggiunge i compagni. Willis segna i primi due punti della gara e lancia i compagni, che vincono nettamente. Un altro centro mancino dalla Louisiana nega la vittoria ai Lakers.

Il ritiro e l’epilogo beffardo

In quella che dovrebbe essere la sua ultima stagione, Baylor si ferma dopo appena due partite a causa della rottura del tendine d’Achille. I Lakers escono contro i Milwaukee Bucks, i futuri campioni guidati dal veterano Oscar Robertson e dal secondo anno Lew Alcindor.

L’anno dopo, Elgin prova a tornare in campo e si mette al servizio del nuovo allenatore Bill Sharman. In campo prova a contribuire, ma sente di non essere più un fattore positivo. Vuole un commiato dignitoso, per questo il 4 Novembre 1971, comunica l’intenzione di appendere le scarpe al chiodo.

Ironia della sorte, il giorno seguente i Lakers danno il via alla striscia di vittorie che si conclude dopo trentatré gare, la più lunga della storia della NBA. West e Chamberlain spazzano via Chicago, poi si prendono la rivincita contro Milwaukee e New York conquistando il primo titolo della franchigia a Los Angeles. Al termine delle cinque gare di finale Wilt viene nominato MVP, mentre Jerry confessa il rammarico per non aver potuto condividere il successo, tanto agognato, con l’amico Rabbit.

Coach dei Jazz e GM dei Clippers

Dopo qualche anno fuori dal giro, Elgin diventa assistant coach per New Orleans Jazz e dopo due anni subentra a van Breda Kolff restando in sella fino alla stagione 1978/79. Da coach affida la squadra nelle mani di Pete Maravich, ma i tanti infortuni dello sfortunato Pistol Pete nuocciono ai risultati. L’esperienza in Louisiana è tutto sommato trascurabile, se non per l’incontro con Elaine Cunningham. I due si sposano e cinque anni dopo daranno alla luce Krystal.

Con l’avvento del Dott. Jerry Buss, i Lakers iniziano a ritirare i numeri delle leggende gialloviola. Il primo è il 22 di Baylor, seguito poi dal 13 di Chamberlain e dal 44 di West. Elgin vuole tornare a Los Angeles e nel 1986 entra nel front office degli L.A. Clippers di Donald Sterling.

Baylor si scontra continuamente con l’owner Sterling, poco propenso ad offrire agli atleti contratti adeguati al mercato NBA. Racconta di agenti che lo contattano per chiedere di non scegliere o completare scambi per i loro assistiti, poiché avrebbero rifiutato di giocare per un proprietario iracondo, avaro e… razzista. Elgin convince l’amico John Thompson ad incontrare Donald, ma il meeting si chiude con un alterco. Sterling boccia diverse candidature perché non apprezza gli allenatori di college, afroamericani, e che la sua squadra di neri debba essere allenata da un bianco.

Nel primo incontro con Danny Manning, Sterling offre un contratto ridicolo e dopo il rifiuto dell’agente manifesta il suo disappunto senza peli sulla lunga: «Guarda che sono tanti soldi per un povero ragazzo nero!» Qualche anno dopo, Baron Davis mentre gioca sente provenire dal pubblico «Fai schifo! Non puoi giocare!!! Perché sei ancora nella mia squadra!?», nulla di clamoroso. Peccato che a pronunciare le offese non sia un tifoso deluso, ma un proprietario eccentrico.

Nonostante sia nominato NBA Executive of the Year nel 2006, la pessima avventura si chiude dopo 22 anni con una lettera di licenziamento. Baylor decide di fare causa, poiché ritiene che la retribuzione sotto la media della lega e la destituzione siano da imputare al colore della sua pelle. L’esperienza complessiva come GM contribuisce a far finire nel dimenticatoio le sue prodezze sul parquet. Negli stessi anni, poi, Jerry West è nel front office dei gialloviola dello Showtime e del Threepeat. La distanza tra Rabbit e i suoi Lakers sembra incolmabile.

🔆 Elgin Baylor Redux

“Black Rage” di Lauryn Hill è un rifacimento di “My Favorite Things” scritto nel 2014 dopo l’omicidio di Michael Brown a Ferguson, Missouri

Raping and beatings and suffering that worsens
Black human packages tied up in strings
Black rage can come from all these kinds of things
Stupri e percosse e sofferenze peggiorano
Esseri umani legati con delle corde
La rabbia nera può venire da queste cose

L’America contemporanea è ancora faticosamente alla ricerca di un equilibrio. Il movimento Black Lives Matter è nato qualche anno prima dei disordini di Charlottesville durante una manifestazione dei suprematisti bianchi. Nel 2020, l’uccisione di Breonna Taylor e George Floyd e il ferimento di Jakob Blake da parte della polizia hanno portato alla sospensione della stagione NBA, a sessant’anni della decisione di Baylor a Charleston.

«Poiché c’è sempre luce, Se solo avremo il coraggio di vederla, Se solo avremo il coraggio di essere Luce.»

Amanda Gorman, “La collina che saliamo” (2021)

Nel 2014 una registrazione audio fatta trapelare dall’emittente TMZ mette Sterling con le spalle al muro, la richiesta fatta ad un’amica di non portare neri alle sue partite è troppo. Le frasi di Donald fanno scalpore e vengono bollate come offensive anche da Barack Obama. Le conseguenze sono immediate: il Commissioner della NBA Adam Silver lo multa e lo espelle, invitandolo a cedere la franchigia. In seguito allo scandalo, anche le dichiarazioni degli anni precedenti di Baylor assumono una nuova luce.

«Giustizia è stata fatta. Ora tutti sanno chi è Donald e che quanto ho raccontato su di lui è assolutamente vero. Il contenuto della registrazione non mi ha sorpreso, questo è il Donald Sterling che ho conosciuto.»

Elgin Baylor

Elgin spiega che ha retto finché ha potuto, perché voleva dimostrare a Sterling quanto sbagliasse. Perché voleva dimostrare di essere in grado di ricoprire il ruolo. Vuole vincere ad ogni costo, con e nonostante Sterling. «I have a dream.»

Redemption

Lo scandalo che scuote l’NBA ha l’effetto di riportare in àuge la reputazione di Baylor. In occasione dei suoi 80 anni i Los Angeles Lakers lo celebrano con una serata speciale mentre l’NBA gli dedica un video tributo. A fine stagione, Elgin assiste dopo sette anni ad una gara dei Clippers seduto al fianco del nuovo owner Steve Ballmer.

Il 7 Aprile 2018, davanti all’allora STAPLES Center viene svelata la statua di Elgin Baylor, che si aggiunge – con colpevole ritardo – a quelle di Jerry West, Chick Hearn, Kareem Abdul-Jabbar, Magic Johnson e Shaquille O’Neal.

L’anno dopo Baylor riceve insieme ai rivali di tante battaglie – Bob Pettit e Bob Cousy – l’anello celebrativo della sua introduzione nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, avvenuto nel 1977. Un ritardo? Un malinteso? No, tutt’altro. Il vecchio amico Bill Russell nel 1975 aveva rifiutato l’ingresso nell’arca della gloria del basket, poiché sarebbe stato il primo atleta di colore a farlo e a suo avviso altri meritavano l’onore prima di lui. Dopo 44 anni Bill The Hill cambia idea e accetta l’introduzione. La cerimonia ha introdotto gli anelli nel 1978 e pertanto l’associazione di Springfield decide di assegnarlo a tutti gli Hall of Famers ancora in vita.

A suggellare la riconciliazione con Elgin Baylor, i Los Angeles Lakers annunciano che le City Edition della stagione 2020/21 sono ispirate a Rabbit e alla sua rivoluzione.

Legacy

Quando ci lascia il 22 Marzo 2021 gli amici di sempre (Jerry West e Bill Russell), la Lakers Nation (Jeanie Buss, Magic Johnson, Pat Riley e i Lakers campioni in carica), l’NBA (Adam Silver, i Clippers e le altre franchigie) e i principali media di tutto il mondo hanno commemorato degnamente la vita e la carriera di Baylor.

Rabbit è entrato nella NBA a ventiquattro anni compiuti e dopo cinque anni nella lega – in quello che oggi sarebbe definito prime – ha messo a referto 32 punti, 16.7 rimbalzi e 4.4 assist di media. Il tutto con un problema congenito alla schiena e le ginocchia che iniziavano a scricchiolare. I suoi numeri straordinari (27.4 punti, 13.5 rimbalzi e 4.3 rimbalzi di media in 846 gare con i Lakers) gli consentono di detenere vari record NBA e della franchigia ad oltre cinquant’anni dal ritiro.

Mentre calcava il campo è stato etichettato in tanti modi: la prima superstar, il primo giocatore moderno oltre all’iconico “The Godfather of Hang Time“ nato dalla sua capacità di restare in aria più degli avversari. Un precursore che ha rivoluzionato la pallacanestro con i suoi movimenti avanti nel tempo: dal jump shot alla reverse dunk, passando per i layup acrobatici e tutte le escursioni sopra al ferro. Un lottatore indomito, che ha fatto la voce grossa a rimbalzo e sotto le plance nonostante un’altezza e una stazza nettamente inferiore ai centri che dominavano la NBA dei suoi tempi.

Julius Erving è uno dei massimi conoscitori del gioco di Baylor ed ha più volte dichiarato di essersi ispirato al primo atleta in grado di “danzare” nell’aria, che con il suo gioco ha indicato la strada da seguire alle generazioni successive. Connie Hawkins, Rick Barry, Dave Bing, Gail Goodrich, David Thompson e tanti altri hanno raccolto l’eredità di Elgin. Secondo Bill Simmons, i suoi contemporanei guardavano le evoluzioni di Rabbit con la stessa sorpresa del pubblico che assiste all’assolo di chitarra di Marty McFly in “Ritorno al futuro”. Per il compianto Kobe Bryant, Elgin «Aveva un footwork formidabile e un primo passo incredibile, era forte fisicamente. Da quello che ho letto e visto posso dire che Elgin era Dr. J e Michael Jordan prima di Dr. J e Michael Jordan.»

Cresciuto in uno stato che ancora oggi lotta per il riconoscimento universale dei diritti civili, Elgin ha utilizzato il dono che ha ricevuto non solo per giocare a basket. Ha cercato – lottando contro infortuni, dolori, licenziamenti, pregiudizi – di superare tutte le sfide che ha dovuto affrontare.

Quando è sceso in campo, Elgin Baylor ha cambiato la pallacanestro per sempre. Quando ha scelto di non farlo, ha generato evoluzioni persino maggiori. Non sempre ha vinto, anzi. I parquet spesso lo hanno costretto a masticare amaro. Tuttavia, Rabbit ci ha sempre provato.

📰 References

“The Book of Basketball: The NBA According to The Sports Guy” libro di Bill Simmons

“Hang Time: My Life in Basketball” la biografia di Elgin Baylor e Alan Eisenstock

“Elgin Baylor: The Man Who Changed Basketball”» libro di Bijan C. Bayne

“The Capital of Basketball: A History of DC Area High School” libro postumo di John McNamara

“Above the Rim: How Elgin Baylor Changed Basketball” libro di Jen Bryant illustrato da Frank Morrison



Lakers Legends


Il racconto, la ricostruzione e l’analisi delle imprese di Bryant. Puntate speciali del podcast dedicate a ripercorrere la storia di Kobe. Tutto, nella sezione destinata a mantenere viva più che mai l’eredità del Black Mamba.

NBA & Lakers on the couch, minors & post on the court. 1987, Showtime!

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